Eco sapeva bene che la ragazza non intendeva insultarlo, semplicemente trasferiva nella conversazione i modelli televisivi a cui era abituata (non so, «Uomini e donne», «Amici»), senza rendersi conto che la lingua possiede anche altre forme, che bisogna saper scegliere e variare a seconda dei momenti. Eco considerava il comportamento della ragazza un sintomo della perdita di memoria che caratterizza la società contemporanea: viviamo appiattiti in un eterno presente che per molti ha un solo tono, dimenticando l’importanza della variazione che il passato ci consegna.
Preciso. Non si tratta di restare ancorati al passato, riproponendo le forme della comunicazione di un tempo. Per rivolgersi a un gruppo di persone non vanno più tanto bene “loro” (lo usa il governatore della Banca d’Italia in situazioni molto formali) o “lorsignori” (ha un valore ironico, quasi di presa in giro). Prima ancora si usavano altri pronomi, che oggi nessuno neppure più ricorda, “eglino” per il maschile e “elleno” per il femminile. Invece a Carducci quei pronomi piacevano, ce lo testimonia quest’episodio. Carducci, appena nominato professore, entrato in una classe dell’istituto superiore femminile “Nencioni” di Firenze, alla prima lezione esordisce con un«Elleno adunque…» e viene sommerso dalle risate delle ragazze. Il professore non la prende bene: è giovane, non è bellissimo, e ha di fronte un gruppo di vivaci ragazze della borghesia fiorentina. Ammonisce la più esuberante con tono burbero: «Lo so che ella avrebbe detto: “Sicché loro…” Ma è bene intendersi subito: qui si conviene aver rispetto alla grammatica, qui non si parla a modo delle ciane». In quella classe insomma non si parlava come le ciane ‘donne sguaiate, volgari, grossolane, pettegole’; il professore diceva“ella” ed “elleno” e pretendeva che le sue allieve facessero altrettanto.
Nessuno pensa di ripristinare quelle forme antiquate: la società cambia e cambia la lingua (che rispecchia i mutamenti sociali). Ma si può e si deve riflettere su quello che succede intorno a noi, non possiamo rinunziare al pensiero e accettare tutto senza fiatare.
Eco attribuiva il comportamento spiccio della sedicenne con il piercing alla mancanza di memoria di una parte delle ultime generazioni. Ma forse c’è di più. Dare del “tu” a un adulto sconosciuto è irriguardoso, anche se non comporta una reale o supposta posizione di inferiorità dell’interlocutore. Il dilagare del “tu” finge una vicinanza che fa male a tutti, facendoci sembrare fintamente amici (l’amicizia è altra cosa). Non è sintomo di egualitarismo o di democrazia, neanche in politica lo è. Luciano Canfora ricorda una battuta attribuita a Palmiro Togliatti, probabilmente non inventata, rispecchia lo stile dell’uomo: una volta, a un iscritto che parlava con aria supponente di cose che conosceva poco, il leader del Pci rispose: «Caro compagno, dammi pure del lei». In altre parole: essere compagni di partito non significa essere compagni di osteria. Un po’ diverso l’atteggiamento di Sandro Pertini (ancora non Presidente della Repubblica), in una piazza di Galatina, in occasione di un comizio (magari qualcuno ricorda): a un giovane che gli aveva rivolto la parola dicendo «Lei, compagno Pertini…» replicò «D’accordo, accetto il “Lei”, sei giovane, ma quando crescerai dovrai darmi del “tu”». Non era politica, ma di sicuro era assai ideologizzata, l’occasione in cui il 21 ottobre del 1975, a Lecce, nell’aula magna del liceo «Palmieri», in un dibattito pubblico Pier Paolo Pasolini cominciava così la risposta a un precedente intervento: «Ti posso dare del tu?, sei così giovane» (si trattata dell’ultima conferenza di Pasolini, pochi giorni prima del suo assassinio, stampata poi nei «Meridiani» di Mondadori e recentemente ripubblicata, a quarant’anni esatti dalla morte).
Gli aneddoti si moltiplicano. Il professor Marcello Filotico, noto anatomopatologo del Salento, mi autorizza a pubblicare questo brano di una sua lettera. «Un mio Professore dosava l’uso del Voi, del Tu e del Lei con matematica precisione. Dava del Tu a noi giovani Laureati e ai suoi colleghi pari grado, il Lei era riservato al mondo accademico e limitato ai professori che riteneva più autorevoli. Il Voi denotava una contenuta stima nei confronti di soggetti giudicati non all’altezza, comunque, di ricevere il Lei. Passò dal Tu al Voi nei miei riguardi, quando conseguita la Libera Docenza fui nominato Primario». E argutamente commenta: «Il giorno un cui divenni Primario non poteva più darmi del Tu, mi avrebbe posto implicitamente al suo stesso livello. Mai più!». Guido Zaccagnini, storico della musica che su Radio 3 conduce bei programmi di divulgazione musicale, sorridendo di sé stesso dice che lui dà il “lei” agli studenti, il “tu” ai superiori, per questo non fa carriera (ma non è vero).
Concludiamo. In alcuni casi il “tu” è ammesso anche tra persone che non si conoscono (abbiamo visto sopra alcuni esempi). Se invece è indiscriminato, è un abbassamento delle barriere falso e velleitario, nasconde la propensione a non rispettare le regole formali. Ricorrendo alla variazione appropriata di “tu” ~ “lei” nelle diverse situazioni comunicative ripristiniamo il linguaggio della cortesia, l’insieme di norme e convenzioni verbali adottate da una comunità per contenere la conflittualità e favorire l’armonia nell’interazione.
Per una comunicazione corretta è necessario rispettare parametri importanti come il grado di familiarità tra gli interlocutori, la partecipazione affettiva e il coinvolgimento, la solidarietà, e anche le differenze di ruolo, che pure esistono nella società. Possiamo utilizzare anche ulteriori accorgimenti, accompagnando la scelta dei pronomi (formale ~ informale) con mezzi quali i toni di voce, la postura del corpo, la prossimità o la distanza fisica con l’interlocutore, ecc. Nello scritto, il “lei” di cortesia è spesso segnalato con l’iniziale maiuscola: “Lei” (come dire: ti tratto con deferenza particolare). Vedo aumentare la maiuscola anche nelle comunicazioni scritte che ricorrono alla seconda persona: “Tu” (ma forse è eccessivo, non si capisce bene se chi scrive vuole suggerire familiarità o distanza).
Le variabili scelte linguistiche non sono casuali, vanno adeguate al contesto, allo stile, al registro, al canale e al mezzo di comunicazione, insomma alla situazione complessiva. Quante cose insegnano quelle microscopiche parolette (due o tre lettere, non più) che definiamo pronomi! Non è meravigliosa la lingua italiana?
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 23 ottobre 2016]