La Frappampina così teorizza la sua tela e la tratta, preferibilmente, a fondo oro con l’accattivante personaggio in posizione frontale, a volte velato, ancora più suggestiva e probabile in luogo laterale della sala espositiva, per incuriosire.
I dipinti sono una ieratica esistenza materializzata in un’elegante, nobile, da far rovistare in memoria nei miti e, come in tutte le sue opere andare a riconoscerne i primordi.
La Frappampina da tempo assume e fa assumere visione con il suo operato servendosi dei simboli nelle ragioni e nei germi astratti ed estratti della vita.
Ma non è qui l’intrigo, quanto piuttosto, a stupire, il come da lei è rappresentato il NUN, se volete chiamatelo più semplicemente con: “esseri e cose, sospesi, sulle acque in un disordine di creato floreale da contrapporsi all’ordine del non creato”. Se il più vi intriga assaporatelo con lo statico frontale nel dinamico di un divenire geometrico, quindi ordinato.
Non appaia un gioco di parole fra positivo e negativo. La geometria di un asimmetrico speculare è sottolineato con la peculiare predisposizione dell’artista a far assumere anche altra storia nei riguardi di più iconografie egizie.
Dunque, brevemente, il rappresentato non è altro che il “venuto all’esistenza del sé” e paragonato all’elegante figura femminile di Caterina d’Alessandria, di cui parlerò in seguito, vi è, nella struttura di ogni dipinto, il sottile distinguo tra il valore assoluto e relativo.
Per la stravaganza di uno o più miti. Frappampina li fa appartenere ad un preciso voluto linguistico pittorico e l’esistenza ieratica delle figure, in uno spazio piatto di un pulviscolo dorato, non è altro che il sottolineare le ragioni del mito e la capacità dell’artista nel l’aver dato giusta collocazione ad una cosmologia eliopolitana.
La presenza su numerose sue opere del disco solare ne è l’evidente sottolineatura.
Ma l’intrigo di un “sé”, in un tutto, è stato il saper far affiorare altri miti o rimandi ad altre iconografie o aneddotiche “stranezze” da far collocare come parti di un corpo, non solo a uomini ma anche alle variabili di un regno animale.
Il suo sé si scrive per simboli e fa rendere bene l’idea di quanto l’uomo assomigli nel tempo e nelle diverse culture. Per l’artista è una sorta di Pangea Culturale che unisce le ali di Pegaso alle ragioni di Esculapio e da quest’ultimo giungere ai calzari del Dio Mercurio con il caduceo o alle sorti di un Icaro troppo vicino al sole.
Dipinti, dunque, pronti a fronteggiarsi nel simmetrico e ad occupare le nostre fantasie o sogni.
Di Caterina d’Alessandria è sufficiente ricondursi, nel rimando della sua narrazione, ad altrettanti segni simbolici. Il più evidente è la ruota del martirio che diventa il fiore della vita sovrapponibile al simbolo vulvare della mandorla.
L’immagine è veduta con la gentilezza del viso di profilo contornato dalla grande aureola del divino. Il corpo invece è frontale. Lì, nel dipinto si intrecciano braccia all’altezza dei polsi con gesto di rassegnata sottomissione al martirio avvalorato da mani lunghe e sottili tese ad auto/reggere la ruota del suo martirio. La composizione è chiusa nel suo centro con la presenza del Fiore della Vita nell’istanza di proteggerla e, verso il basso, le lame assumono forte valenza simbolica in quarti di luna nascente e crescente nelle simmetrie spezzate da altro miracolo, da attributi per nuova voce al mito.
In Frappampina dunque è la poesia e cresce nella quiete del silenzio che è notte sin dai primordi ancestrali. Per l’artista la notte è fonda e del giorno ne scruta l’abbandonato errante di una ragione con ricerca della luce, con la pittura ne coglie il colore e il dolore in una cangiata distesa di onirica rappresentazione da tenere stretta per paura del poco. Una rassegna da osservare e da augurarle un continuo buon lavoro.