Di mestiere faccio il linguista 8. Nella scuola si gioca tutto!

Non riuscirei a dir meglio. Nel gennaio 2017 e nei mesi successivi fece molto rumore il cosiddetto appello dei seicento, sottoscritto da un folto gruppo di intellettuali, scrittori, giornalisti (non solo professori) che si intitolava «Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola». Quel documento cominciava: «È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. […] A fronte di una situazione così preoccupante il sistema scolastico non reagisce in modo appropriato, anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema».

Se ne parlò molto, a quel tempo, anche con pareri diversi. Non torno sull’argomento. Ma condivisa fu la constatazione che il dominio dell’italiano da parte dei giovani è in netto declino. Aggiungo: lo smottamento linguistico non coinvolge solo i giovani, è generalizzato. Strafalcioni pullulano sui media: la punteggiatura è traballante, l’ortografia sforna a getto continuo «un pò» (invece di «un po’»), «fà» (invece di «fa», terza persona dell’indicativo di «fare»), apostrofo e accenti sono usati a sproposito («un’obolo», «perchè»), non si scrivono correttamente «accelerare» e «soqquadro», ci si esprime in maniera trascurata (è illuminante al riguardo il libro di un addetto ai lavori: Mario Nanni, Il curioso giornalista). Non va meglio con professioni (magistratura, avvocatura) che pure hanno la lingua, il nostro più importante bene culturale immateriale, al centro della propria attività. L’uso maldestro dell’italiano, anche fuori dalla scuola e dall’università, è incontestabile. L’analfabetismo di ritorno è diffuso, molti adulti ne soffrono.

Diverse, a volte contrapposte, sono le idee sia per quanto riguarda l’individuazione delle responsabilità pregresse (come siamo arrivati a questo punto?) sia per quanto attiene alle eventuali soluzioni da proporre. La partita fondamentale è nella scuola, lì si gioca tutto. Non ho ricette da proporre. Offro alla valutazione dei lettori solo modesti spunti di riflessione.

  1. Chi ha il potere di decidere non ceda alla velleità di varare ulteriori riforme scolastiche. Ogni governo tenta la propria, puntualmente smantellata dal governo successivo. Per un po’ lasciamo che i professori, vessati dalla compilazione di questionari, di moduli e da adempimenti burocratici vari, possano lavorare tranquillamente, senza novità normative. La politica, senza clamore, si occupi di aumentare gli stipendi dei professori della scuola (oggi quasi indecorosi), di allestire biblioteche ricche di libri e laboratori ben attrezzati.
  2. I professori non rinunzino a esigere dagli studenti cognizioni, nozioni, date (un tempo giudicate fondamentali e oggi ritenute inutili). Non c’è apprendimento possibile, se mancano approfondimento e riflessione individuali. Capire quello che si legge, parlare e scrivere correttamente richiedono applicazione e studio. Sono insensate le parole d’ordine che invitano i ragazzi a non studiare perché è inutile (essere competenti non serve!) e i professori a non dare compiti a casa (tutto deve concludersi in classe, senza fatica!). Ritorni nella scuola l’esercizio della memoria, facoltà importantissima alla quale abbiamo rinunziato a cuor leggero. Non sto esaltando il nozionismo, sto invitando alla conoscenza.
  3. Gli studenti, abituati alla comunicazione spezzettata dei social, allo scorrere frenetico di informazioni e di immagini, alla perpetua connessione in rete, si addestrino a distinguere, confrontare, scegliere nel mare di notizie complesse e contraddittorie disponibili fuori dalla scuola. Con la guida dei professori, cerchino nella scuola e nei libri di testo le informazioni necessarie alla loro preparazione.
  4. Le università preparino in modo adeguato i futuri insegnanti, che spesso posseggono in misura ancora limitata le nozioni di linguistica necessarie per un efficace insegnamento dell’italiano. Dopo la laurea è necessario l’aggiornamento costante degli insegnanti, di cui dovranno farsi carico ancora le università, insieme ad Accademie come la Crusca e i Lincei, ad Associazioni come l’ASLI e la SLI, che con grande merito già operano in quest’ambito. Università, Accademie e Associazioni facciano questo con risorse proprie, senza spese per i partecipanti, sottraendo gli stessi al diluvio di corsi, corsetti e master di pessima qualità, organizzati da individui poco seri che dell’aggiornamento nelle scuole hanno fatto un mestiere lucroso.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 18 agosto 2019]

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