Ricordo di Carlo Caggia

Carlo Caggia aveva una missione da compiere, e la sua missione era di diffondere tra le nuove generazioni – “Ai giovani perché sappiano” recita la dedica delle sue Cronache galatinesi – la conoscenza del socialismo salentino ed in particolare galatinese dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, nel quale un ruolo da protagonista aveva avuto Carlo Mauro, leader dei comunisti galatinesi. Di Carlo Mauro, Carlo Caggia si considerava l’erede non solo familiare, essendo suo nipote per parte di madre e portandone il nome, ma anche spirituale, poiché sentiva il socialismo come l’ideale sovrano della sua vita. Parlando con lui, avvertivi subito la tensione che animava le sue parole, tutte tese ad uno scopo, che non era confinato solo nella ricerca storica, bensì doveva servire al rinnovamento della vita civile della città. Carlo Mauro era per Caggia un esempio di virtù civica, non un figura da museo delle cere. Ecco perché, all’attività di divulgatore delle idee e delle battaglie della sinistra galatinese, sempre sulla scorta di una rigorosa documentazione di prima mano, cui attingeva direttamente nel suo archivio privato, Carlo Caggia ha affiancato per molti anni, dal 1978 al 1987, l’impegno politico all’interno del Consiglio comunale con la carica di consigliere eletto nelle liste del PCI, facendosi interprete di una intellettualità cittadina laica e mai corriva col potente di turno.

Il discorso della Bolognina di Achille Occhetto (1989) lo trovò disorientato, lui come molti altri della sua generazione, che di fatto fu lasciata alla sbando. Da allora data la fine del “Corriere”, che privava la città di una voce d’opposizione di sinistra. “Il Galatino” supplì adeguatamente, tant’è vero che la maggior parte degli interventi di Caggia dopo l’89 furono consegnati alle pagine di quel quindicinale. Ma nel frattempo Caggia aveva anche allargato la sua collaborazione ad altri giornali: “La Gazzetta del Mezzogiorno”, “Il Quotidiano”, sempre con l’intento di divulgare al maggior numero di persone le vicende e i valori del socialismo salentino.

Ho davanti a me i suoi libri, altrettanti regali a mio padre, doni che scandiscono il tempo dell’amicizia nell’ultimo quarantennio: da Carlo Mauro pioniere del socialismo salentino del 1967 a Scritti sparsi di fine millennio del 2001, passando per Cronache tra due secoli del 1976, Carlo Mauro costruttore di civiltà e Cronache galatinesi, entrambi del 1996. Una mattina di qualche anno fa, incontrandolo in Piazza Alighieri, gli proposi di raccogliere questi scritti che coprono un sessantennio di vita della sinistra salentina visti dagli occhi di un socialista, di raccoglierli in un volume, sia perché alcuni di essi non erano più ristampati sia perché dalla loro unione risaltasse meglio l’omogeneità degli stessi. – Quel che è fatto, è fatto – mi rispose col suo consueto tono brusco, nel quale avvertivi l’aderenza alle cose, non alle parole. – Chi vuole, sa dove mettere le mani -. Egli era fiero di aver assolto al suo compito, e che poteva fare ben poco ancora per il socialismo salentino. La malattia, intanto, incalzava. Mi regalò una Bibliografia su Carlo Mauro, che credo avesse stampato in proprio, e mi invitò a visitare il Museo civico “Pietro Cavoti”, a cui aveva regalato alcuni oggetti: un portasigarette in argento massiccio con miniatura su smalto e l’incisione I ferrovieri scioperanti a Carlo Mauro, Lecce 20-30 gennaio 1920, alcune posate in legno adoperate da Carlo Mauro quando era detenuto all’Ucciardone, il Contratto di lavoro dei contadini del 1906, il Contratto dei Muratori del 1911, ed altri oggetti e documenti di grande valore storico. Si mise anche a disposizione, nel caso volessi portare i miei studenti in visita al Museo. Lo ringraziai per la sua gentilezza, ed ora mi pento di non averne approfittato. Negli ultimi anni era divenuto abitudinario. Ogni mattina usciva da casa per recarsi a prendere il giornale; la sera, immancabilmente, faceva una passeggiata per le vie del centro in compagnia di sua moglie Bianca: “Buona sera, avvocato, buona sera, Signora Bianca”. Salutavo due coniugi attempati, passando in scooter, e salutavo un pezzo della storia cittadina e del mio passato, con la deferenza, l’affetto e la simpatia che si riserva solo alle persone care.

Ieri Carlo – sebbene non l’abbia mai chiamato così, per ragioni di età e di rispetto, ora so di poterlo fare – ci ha lasciato, ma io confido di vederlo ancora la mattina – e di poterlo risalutare – mentre cammina da solo sul marciapiede, col giornale sotto il braccio e il cappello in testa, e di sera accanto alla Signora Bianca, a spasso per le strade della sua Galatina.

[“Il Galatino” del 15 settembre 2006, p. 6]

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