di Antonio Errico
Nel corso di una conversazione con Roberto Saviano, pubblicata su “Repubblica”, Yuval Noah Harari, l’autore di “Sapiens”, “Homo Deus”, “21 lezioni per il XXI secolo”, sostiene che tra venti o trent’anni la tecnologia contenuta in uno smartphone sarà inserita direttamente nei nostri cervelli tramite elettrodi e sensori biometrici. Sarà in grado di monitorare quello che accade all’interno del corpo e del cervello in ogni momento. Potrà conoscere i nostri desideri, le nostre sensazioni, i nostri sentimenti. Prenderà decisioni nel campo della prevenzione medica, degli affari, delle relazioni sentimentali. Potendo fare affidamento sulla potenza di computer e algoritmi, noi ci lasceremo guidare da essi in maniera crescente fino a farli diventare parte di noi stessi.
Allora, se si escludono i processi e gli strumenti che riguardano la medicina, cioè quella condizione che migliora la vita delle creature, tutto il resto fa paura. Detto banalmente ma semplicemente, con incompetenza ma sinceramente, da uomo della strada ma onestamente, tutto il resto fa paura. Che visibili o invisibili macchinette, microscopici (o macroscopici?) apparecchi possano manipolare i meccanismi del pensiero, la memoria, la previsione, l’immaginazione, che possano fare scelte che un uomo – liberamente- farebbe in modo diverso, che possano anche determinare emozioni e sentimenti, che un programma stabilisca chi si deve amare e chi no, ad una persona normale fa paura: deve far paura. Deve farle domandare che cosa perde e che cosa ci guadagna da una realtà che di fatto stravolge la natura. Comunque, al di là delle domande e delle possibili risposte, rimane una sensazione di paura per una mutazione che in precedenza probabilmente non è stata mai vissuta, per una situazione che afferma la definitiva prevalenza (o la sovranità assoluta?) della dimensione tecnologica rispetto alla dimensione dell’ umano.