Il senso vero delle cose nel dialetto, la sola lingua che ti conosce

di Antonio Errico

Ogni anno, quando viene estate, lui ritorna dall’Irlanda per dieci giorni, al massimo due settimane. Vive lì per lavoro da più di trent’anni.

Dice che ogni volta che ritorna si accorge che molte cose sono cambiate. Dice che qui le cose cambiano rapidamente, troppo rapidamente forse. A volte ha difficoltà a riconoscere i luoghi, perfino a trovare le direzioni. Gli rispondo che sta invecchiando. Ma lui dice che non è questo. Che sta invecchiando è vero, ma non è questo. Il motivo è che qui tutto cambia troppo rapidamente. Non cambiano soltanto i luoghi. Cambiano anche le persone, cambia il loro modo di fare. Ogni volta le trova sempre più indifferenti, ogni volta sempre più indaffarate e distratte.

Dice che non si ritrova più in questa terra. Che le sole cose che ancora gli fanno avvertire una sensazione di appartenenza sono i suoi ricordi e il dialetto.

Ma i ricordi hanno una energia più forte quando è lontano da qui. Che accada questo è normale. La lontananza attribuisce all’evocazione una funzione che agisce nelle profondità. Nella lontananza la memoria diventa concreta, fa rivedere i volti, risentire le voci che appartenevano a quei volti, e poi gli odori, i sapori, come la madeleine di Proust. Non sono mai riuscito a rileggere neppure una sola pagina di Proust, dice, e probabilmente non ci riuscirò mai più, perché Proust si può leggere una sola volta nella vita. Ma certe immagini, certe emozioni, mi sono rimaste graffiate sulla pelle.

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