di Adele Errico
È caldo il Sud delle narrazioni di William Faulkner; è arso da una luce – come egli stesso affermava parlando del romanzo Luce d’agosto – “fulgida, nitida, come se venisse non dall’oggi ma dall’età classica”. Nei bagliori di questa luce implacabile si stagliano come statue i suoi personaggi, schiacciati da una dimensione mitica e ancestrale, creature dannate di un mondo contaminato da rituali in cui la vita sembra non potersi sottrarre ad una grigia fatalità.
Tra questi personaggi c’è una ragazzina che, inchiodata alla finestra, si ritrova ad oltrepassare la linea d’ombra senza nemmeno accorgersene. Con gli occhi piantati sul quel vetro opaco, osserva le altrui vite scorrere mentre lei resta immobile, invischiata in una devozione morbosa nei confronti della madre che l’ha cresciuta duramente, “usando parole da uomo”. Si tratta di Zilphia Gant, protagonista di uno dei tre racconti della raccolta Una rosa per Emily, che riunisce le storie di tre donne appartenenti ad un mondo svanito, oscillanti tra follia e nostalgia.
In questo racconto, Faulkner ripercorre quarantadue anni di vita di Zilphia, dodici dei quali trascorsi affacciata alla finestra a cucire, l’ago ormai estensione delle sue dita che compiono un movimento meccanico necessario a consacrare la fissità della sua esistenza. Compaiono, spesso, descrizioni fisiche puntuali e approfondite, quasi cliniche, attraverso le quali è messo in evidenza un costante variare, negli anni, della fisionomia di Zilphia, della sua forma fisica, soprattutto del suo peso, una metamorfosi che scandisce come un pendolo le diverse fasi della sua vita. La sua salute, sin da bambina, è stata sempre cagionevole. Sembra, tuttavia, che la vera malattia sia il terrore che prova nei confronti della signora Gant, una paura che la rende fragile e le piega le ossa come canne spezzate dal vento. All’età di nove anni incontra una cliente della sartoria della madre che tenta di convincerla a frequentare la scuola. La madre manda via la cliente e comincia a strattonare Zilphia e “a batterla, colpendola con la mano aperta su tutto il corpo”. Da quel momento, la protagonista inizia a manifestare i primi segni di debolezza fisica e viene così descritta: