Favoriti dalla rete, si generano inaccettabili fenomeni emulativi. L’Islanda si è vista costretta a vietare o rallentare l’accesso al canyon del Fjadrárgljúfur (nella parte sud-orientale dell’isola), che conosce una straordinaria popolarità da quando la popstar Justin Bieber vi ha girato un video di successo. Qualcosa di analogo è capitato al Louvre, all’interno del quale Beyoncé e Jay-Z, pagando una somma consistente, hanno girato Apeshit, il videoclip che lancia il loro album Everything is love: in diverse sequenze i due cantanti si esibiscono davanti a opere molto famose, la Gioconda di Leonardo, la Nike di Samotracia o la Venere di Milo (se ne parla, in una prospettiva che riguarda i complessi rapporti tra mondo dello spettacolo e mondo delle arti visive, negli Atti di un convegno curati da Salvatore Donadei, presidente della Camera Civile di Lecce, che vedranno la luce a settembre). Il videoclip, diventato virale in pochi giorni (più di 30 milioni di visualizzazioni su YouTube), ha sollecitato una forte spinta emulativa, altri vorrebbero ripetere l’impresa delle due star americane, ignorando che i musei dovrebbero essere visitati con ben altro spirito. E finalmente (rinunziando forse a malincuore ai possibili guadagni) gli amministratori del Louvre si sono decisi a opporre rifiuti alle continue richieste di tanto fatuo esibizionismo.
Sono tutti stranieri gli esempi di cui finora abbiamo parlato ma il nostro paese corre rischi altrettanti forti. Non sono in pericolo solo le grandi città d’arte e di storia (Venezia, Firenze, Roma), il rischio del contagio si diffonde per la penisola intera. Un turismo di massa relativamente recente contagia anche il Salento, con luci e ombre. Vantaggi economici evidenti raggiungono gestori di pizzerie, ristoranti e bar, albergatori e affittacamere, titolari di stabilimenti balneari, tassisti, imprenditori e artigiani di varia specializzazione, commercianti. Questo è bene, tanto più in una terra non ricca come la nostra, con una struttura industriale per molti versi modesta, che a volte si sviluppa in forme mostruose, destinate a produrre inquinamento e malattie (capita soprattutto a Taranto, dove il dilemma lavoro~morte appare ancora lontanissimo da una qualsiasi soluzione).
Tuttavia i benefici economici non possono far dimenticare i problemi. Il turismo incontrollato dei grandi numeri moltiplica i fenomeni negativi; e nello stesso tempo, per una sorta di involontario contrappasso, un’offerta turistica spesso improvvisata, incapace di soddisfare in maniera corretta la richiesta di servizi e alloggi proveniente dalla massa crescente di turisti che nei mesi estivi viene in Salento, riversa guai sugli incolpevoli locali. Trasporti inadeguati, traffico impazzito, sporcizia, inquinamento, rumori, maleducazione, coinvolgono tutti, residenti e turisti. «Nuovo Quotidiano» del 21 e del 22 luglio ha segnalato le peripezie del turista che non trova in tutta Lecce un solo punto di informazione degno di questo nome né una forma di segnaletica decente che informi sui monumenti e sugli edifici di cui a parole andiamo fieri (basterebbe davvero poco, qualche cartello redatto da persona competente); e nello stesso tempo (altra faccia della medesima medaglia) ha descritto il senso di frustrazione che assale molti cittadini, che non possono dare risposta alle continue richieste di informazioni e di aiuto provenienti dai turisti smarriti.
Il discorso non riguarda solo il capoluogo, riguarda l’intero Salento (sarò lieto di ricevere smentite documentate). Ci definiamo terra di turismo, ma non si può essere soddisfatti di come vanno le cose. Inoltre cominciamo a soffrire la concorrenza delle spiagge di Montenegro, Albania e Croazia, vuol dire che il modello della triade «lu sule, lu mare, lu ientu» da solo non regge più. Bisogna puntare su altro, sulla nostra storia e sulla nostra cultura. Invertiremmo la rotta se, fuori dai mesi di luglio e agosto, puntassimo ad attrarre altre fasce di età. A turisti non giovanissimi o a giovani non solo frequentatori di discoteche e spiagge potremmo offrire visite guidate per far conoscere il Salento messapico, il Salento romano, il Salento greco e bizantino, il Salento medievale, il Salento liberty, il Salento di epoca fascista (che va valorizzato, a prescindere dalla matrice politica), oltre al Salento barocco di cui solo si parla. Avremmo un turismo destagionalizzato (come tutti invocano), meno invadente, che non butta rifiuti per terra, che non balla sino all’alba.
Con un turismo di tipo diverso rivaluteremmo la nostra identità e contrasteremmo la crisi che investe il Salento su tanti fronti: carenza di occupazione, spopolamento, emigrazione di studenti verso le università del centro-nord e di laureati verso il settentrione e verso l’estero, crisi dei modelli culturali tradizionali. La xylella è l’emblema di tutto ciò, distrugge il paesaggio millenario delle nostre terre nel silenzio colpevole dei ceti dirigenti. Gli agricoltori, disperati, danno fuoco ai loro ulivi. Io, che non sono un contadino e non posseggo terre, mi sono accorto del disastro da una decina d’anni, semplicemente guardandomi intorno. E, allibito, fin da allora constatavo che nessuno muoveva un dito. Fino ad oggi, non ho letto né sentito una sola parola di scusa dai nostri politici (quelli che governano e quelli che fanno opposizione), colpevoli di essere rimasti per anni silenti e immobili, pronti a farsi inquadrare sorridenti, soddisfatti non si sa di cosa. Mi piacerebbe che qualcuno si scusasse pubblicamente verso le popolazioni salentine per la propria insufficienza.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 28 luglio 2019]