“L’Io è odioso”, scriveva Blaise Pascal, conformemente all’ideale classico di buona creanza del XVII secolo; formula incisiva alla quale, vista la copiosa produzione autobiografica contemporanea, potremmo essere tentati di aderire. Infatti, un “io” ipertrofico che provoca in questo genere di scritti l’onnipresenza dell’ “ego”, contemporaneamente autore, narratore, personaggio centrale del racconto retrospettivo della propria vita, diventa troppo spesso egocentrismo nostalgico, auto giustificazione compiacente, peggio ancora esibizionismo. Se questi testi soddisfano il bisogno degli autori di mettere in piazza la loro confessione, spesso fanno fatica a suscitare interesse nei lettori.
Alcuni scrittori tuttavia riescono ad evitare in maniera meravigliosa questo scoglio, Gianluca Virgilio ne fa evidentemente parte.
Annie e Walter Gamet
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