di Francesco D’Andria
Quotidianamente, la stampa nazionale e i media riportano notizie sulla Libia: descrivono la guerra tra le milizie di Haftar e quelle di al-Sarraj e la tragica realtà dei migranti, con il suo drammatico impatto sul confronto politico in Italia. Un’attenzione molto minore è invece riservata ad un’altra tragedia di questo magnifico quanto sfortunato Paese: la sistematica distruzione del suo Patrimonio culturale e della sua identità.
Molto opportunamente quindi Oliva Menozzi ha organizzato all’Università “G. D’Annunzio” di Chieti, un Convegno sul Rischio del Patrimonio archeologico nell’attuale situazione internazionale; gli archeologi di quell’Ateneo, insieme a Roma 3 e Urbino, possono vantare una lunga tradizione nelle attività di scavo e ricerca archeologica in Libia. All’incontro hanno partecipato anche numerosi funzionari libici i quali hanno offerto un quadro completo della drammatica situazione in cui versa l’archeologia di questo Paese dove l’Italia può vantare una lunga presenza culturale, che risale agli inizi del secolo scorso, con i restauri dei principali siti archeologici della Libia: basti pensare al teatro di Sabratha o all’arco di Settimio Severo a Leptis Magna, frutto quest’ultimo dell’impegno di un maestro dell’archeologia italiana come Antonino Di Vita.