Nel 1551 (o 1554), alla nascita di Mogavero, la Compagnia di Gesù era stata già fondata da Sant’Ignazio di Loyola con la Formula Instituti, il testo base dell’ordine, che era stato approvato dal Papa Paolo III il 3 settembre 1539. Con la bolla pontificia Regimini militantis Ecclesiae del 27 settembre 1540, l’ordine era stato istituzionalizzato e si avviava a diventare uno dei più potenti della cristianità mondiale. Ignazio fu eletto all’unanimità preposito generale il 22 aprile 1541. Questo nuovo ordine faceva proseliti in tutta Europa, in Italia e anche nel Salento. Ruffano poi aveva una speciale venerazione nei confronti dell’ordine gesuitico, come conferma l’altare dell’“Immacolata seu S.Maria delle Grazie”, situato già nella vecchia parrocchiale del paese e ricostruito nella nuova, con l’apoteosi dei santi dell’ordine gesuitico: Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, Francesco Borgia e Francesco Saverio.[8] Inoltre, Ruffano vantava nello stesso periodo un altro appartenente all’ordine gesuitico, vale a dire Padre Sabatino De Ursis, probabilmente imparentato col Mogavero, anche se non disponiamo di notizie in merito.[9] Ma tornando all’altare della Chiesa parrocchiale “Beata Maria Vergine”, non può sfuggire che in alto è riportata l’epigrafe “Vergini Deiparae/Primaverae labis experti/ Joseph Grassus/1712.[10] IL committente, Giuseppe Grassi, era esponente di una illustre famiglia di medici ruffanesi di origini alessanesi, la cui storia è fondamentale per la biografia di Mogavero. Indispensabile fonte per la storia di questa famiglia è il volume “Alessano tra storia e storiografia”, a cura di Mario Spedicato.[11] In questo libro, gli autori pubblicano un documento In cui si parla doviziosamente della famiglia Grassi, strettamente legata a San Bernardino Realino, fondatore dell’ordine gesuitico in provincia di Lecce nel 1574.[12] Si tratta della “Breve Istoria della Famiglia delli Grassi di Martano, cittadini di Alessano (dal tardo medioevo al sec. XVIII)”, di cui è autore nel Settecento il padre gesuita Antonio Grassi, che sulla base di “antichissime memorie esistenti nella casa dei Signori Grassi”, traccia un articolato ritratto di questa famiglia che annovera, nella sua lunghissima storia, a detta dell’autore, letterati, ambasciatori, combattenti, cardinali, re e santi.[13] Al netto dell’intento apologetico che anima l’autore, lo scritto è per noi veramente prezioso perché ci fornisce molte notizie su Padre Scipione Mogavero. «Ricca la galleria dei personaggi di questa stirpe che il padre gesuita inserisce nella sua Istoria» riportiamo le parole iniziali degli autori Caloro e De Paola. «Corrado Grassi cavaliere accompagnò Carlo I d’Angiò nella crociata in Terrasanta nel 1272; Francesco e Fabio Grassi “ebbero la fortuna di conquistarsi le aureole di Martiri, uccisi confessando la fede cattolica con l’altri cittadini di Otranto nel 1480”, mentre erano impegnati negli studi presso i monaci basiliani del luogo. Tra i molti nomi famosi rifulge quello di Donato Grassi di Alessano, che, “medicus et philosophus celeberrimus, tempestatis suae nemini secundus”, visse oltre i cento anni (morì effettivamente all’età di 110 anni, il 13 ottobre 1613); nel 1561 fu molto caro al coetaneo e famoso Cesare Raho. Fabio Grassi dottore di legge, canonico della chiesa di Alessano nel 1561, “stimato molto da vescovi non men per la dottrina che per lo spirito; fu lungo tempo Consultore di quella Curia”. Nicolò Grassi, ultimo nato della sua famiglia, ma “natus minimus, sed summi Numinis destinatione maximus”,”miglior huomo che abbia havuto fin’hore la nostra famiglia … un miracolo delli suoi tempi, perché dottor fisico senza pari, astrologo senza simile, filosofo senza abbagli, per l’eccellenza della medicina conosciuto anche da barbari”, capace di guarire i malanni del Signore di Costantinopoli, che lo fece prelevare dal porto di San Cataldo dalle sue galere e, a guarigione avvenuta, ricondurre in Lecce; medico personale di Bona Sforza d’Aragona, regina di Polonia, e signora di Bari nel 1551, ricordato da Quinto Mario Corrado con grande affetto e stima. Antonio Grassi, altro medico eccellente, visse presso i Turchi da cui era stato catturato; Altobello Grasso, “utriusque juris doctor celeberrimus”; Lupo Grassi, “homo di non ordinario sapere in materia di filosofia e medicina”. La storia della famiglia si conclude con il tragico evento della notte di natale nel 1729 che vide coinvolto Matteo Grassi, quando essa splendeva di chiara luce per la presenza di un uomo famoso, ancora una volta, “per la sua professione di medicina …perché se si riguarda la sua professione era unico, e più che eccellente nella galenica, già abolita dalla moderna”»[14]. Ed è sull’ultimo figlio di Lupo Grassi che si appunta la nostra attenzione, Altobello Grassi, e si è a metà Cinquecento, il quale, medico eccellentissimo, incrocia il proprio destino con quello di Padre Mogavero. Aldo de Bernart in un suo scritto del 2006 parla di Altobello Grassi, “medico eccezionale, per professionalità nemini secundus”, il quale arrivò nel 1580 da Alessano a Ruffano, a seguito delle sue nozze con la nobildonna Porzia Mogavero. Altobello Grassi fu “il capostipite di una generazione di medici dal Cinquecento al Settecento. Laureato in medicina alla famosa Scuola Salernitana, Altobello tenne il suo studio in Ruffano dal 1580 al 1626, anno della sua morte.”[15] Fu autore di un’opera di medicina dal titolo “Altobelli Grassi / Problematica varia et medicinalia / Jussu Josephi Grassi medici in lucem edita / in licy ex officina Thomae Mazzei / 1702 “, dedicata al venerabile Padre Bernardino Realino, gesuita. “E alla Compagnia di Gesù”, continua de Bernart, “i Grassi erano molto vicini per via anche di un loro congiunto che quell’abito talare aveva scelto, tanto che Giuseppe Grassi nel 1713 fece erigere nella nuova chiesa parrocchiale di Ruffano, edificata il 1712, un altare gentilizio con l’apoteosi dei santi dell’ordine gesuitico: S.Ignazio di Lojola, S. Luigi Gonzaga, S.Francesco Borgia e S. Francesco Saverio. Sul fastigio dell’altare si legge: Virgini Deiparae / Primaevae Labis Experti / Joseph Grassus / 1713”. Il figlio di Altobello, Francesco “laureato in medicina alla Scuola Salernitana, nonché libero docente negli atenei di Napoli e di Pavia, si dedicò a postillare l’opera del padre senza però riuscire a pubblicarla data la sua prematura scomparsa. Dalla moglie, Donna Livia Pipina ebbe diversi figli fra i quali Giuseppe, al quale si deve la pubblicazione dell’opera del nonno, appunto a Lecce, nel 1702. Giuseppe fu Sindaco di Ruffano per diversi anni ma soprattutto fu un valente medico e la sua fama divenne così grande che attraversò tutta Terra D’Otranto e il Vescovo di Lecce Antonio Pignatelli, divenuto poi Papa col nome di Innocenzo XII, lo volle come medico personale”. Per questo, Giuseppe “si trasferì a Lecce, nel suo fastoso palazzo in Via dei Perrone, dove si spense il 1717 tra il compianto di tutti e in particolare dei ruffanesi”.[16] Lo scritto di de Bernart è per noi rimarchevole soprattutto laddove afferma che Altobello Grassi venne a Ruffano “a seguito delle nozze con la nobildonna Porzia Mogavero, che gli portava in dote, tra l’altro, una casa palatiata con mignano nel Rione San Foca…”,[17] confermando così le origini nobili della famiglia di Scipione.
Riportiamo ora la lunga narrazione della “Memoria” di Antonio Grassi.
Parlando di Altobello Grassi, scrive: «Questi capitato in Napoli s’abbattè con Scipione Mogavero, prete greco di Ruffano, quale osservata l’indole del giovine, l’ingegno, et il suo giudizio, e sopra tutto la bontà della vita, pensò dargli per moglie la sorella, che Portia Mogavero si chiamava, mentre s’era risoluto darsi a Dio nella Compagnia di Giesù, dove mutandosi il nome di Scipione in Francesco, il cognome di Mogavero in Perez riuscì di tal perfettione e santità, che ito nell’Indie e nel Giappone coltivò que’ rozzi popoli per molti anni aratro fidei, e seminandovi la divina parola ne colse copiosissimo frutto d’anime battezate; alla fine consumato dalle fatiche apostoliche di molti anni, et in tempo di grandi persecutioni contro la fede di Cristo morì, se non Martire [c. 50] del ferro, almeno di carità, e d’obbedienza, perché chiamato dal Padre Visitatore Alesandro Valignani per riaversi d’una lunga infermità contratta per le grandi fatiche, e per lo tanto star chiuso di giorno sotterra, sepolto prima che morto, per sottrarsi all’insidie de’ persecutori, e per giovar così mal vivo alli fedeli, uscendo la notte per somministrare loro e la parola di Dio, et il pane degl’Angeli, in tal maniera se l’abbreviò la vita, che nel porto di Caminosachi si morì, come dalla “Relatione” che mandò all’hora alla nostra Casa il Padre Bernardino Realino scritta di suo pugno che gelosamente si conserva, con mille altre lettere tanto del Padre Perez, quanto d’altri Padri della Compagnia, che di quanto qui succintamente ho scritto ragguagliavano la Casa. Non devo però tralasciare di trascrivere qui ciò che dalle lettere annue della Compagnia di Giesù del 1603, giacchè il Padre Realino lo trascrisse a noi di suo pugno:
“ Il secondo che è morto è stato il Padre Francesco Mogavero del Regno di Napoli, di anni 48, e della Compagnia 23, grand’operajo in questa vigna, ove si è impiegato sedici anni, e così doppo d’haver passato molte fatiche in aiuto de’ Cristiani in varij luoghi, ultimamente in Meaco, ove molti anni era stato Superiore in quella residenza, cadendo infermo di febre per disagi, e mancamento di cibbi accomodati alla complessione europea, e venendosene per ordine del Padre Visitatore alle parti dello Scimo per curarsi, in mezo del camino [c. 51] sopra-giunto da un accidente passò a miglior vita (come crediamo) nel mese di Maggio 1602 alla vista del porto di Caminosachi, vicino il Regno di Bugen. Fu la sua morte sentita non poco dalli compagni, avendo perso un operario così buono nell’agiuto dell’anime, nel qual tempo haveano riconosciuto gran santità, e raro esempio di speciale pazienza che molto bene esercitò nella malatia e nell’altri travagli”.
Fin qui le “Lettere annue” del 1605.
Né devesi passare in silentio ciò che il Padre Marco Ferrari lasciò scritto di questo memorabile huomo:
“Con lui entrò nella Compagnia (dic’egli) e con lui nel Giappone il Padre Francesco Mogavero di Ruffano nel Capo d’Otranto, ma non con lui giunse a vivere a tempo della persecutione accennata di Daifusama, come qui sotto diremo: nell’altra precedente di Taicosama egli volentieri si rimase fra mille pericoli, e mille imagini di morte a fruttificare nel Regno dello Scimo, dove v’hebbe la sua parte nella conversione alla nostra fede di più migliaia di gentili; e scrivesi più particolarmente di Francesco che per le fatiche sostenute in convertire alcuni Bonzi riportò dalle loro spoglie una volta in sua portione venti idoli, che con animo superiore all’insulti, et alle minaccie degl’idolatri volle di sua mano tutti in fascio pubblicamente bruggiati. Del resto non molte notitie ci rimangono delle sue molte fatiche, salvo quelle che s’incontrano nell’Istoria del Giappone, sotto la [c. 52] denominatione di Francesco Perez, con qual cognome cambiò egli il suo proprio, che questo all’orecchio de’ Giapponesi non ben sonava, così al nome di Scipione, qual si chiamava secolare, surrogò entrando fra la Compagnia l’altro di Francesco, et al cognome quel di Perez”.
Ma tra le tante smarrite memorie pur hoggi vediamo lodato il nostro Francesco Mogavero Perez da quell’infatigabile operario, e poscia insigne Martire del Giappone Pietro Paolo Navarra, che in sua carta del 1604, di colà drizzata in Napoli ci fa leggere le seguenti parole:
“Il nostro buon Padre Francesco Perez già se n’andò a godere delli molti meriti che acquistò per tanti anni quanti ne servì al Signore con tanta edificatione di tutti, e principalmente per tutto quel tempo che dimorò in Meaco, dove quando infermo gravemente, acciochè si curasse meglio qui in Nangasachi, mandò il Superiore a chiamarlo,e perché si trovava molto debole morì nel viaggio, el suo corpo fu condotto in Nangasachi, ove sta sepolto”.
Tutto questo si trova nella prima parte della Istoria della Compagnia di Giesù appartenente al Regno di Napoli, scritta dal Padre Francesco Schinosi, nel lib. 4°, cap. X, p. 344; e nel Padre Daniello Bartoli (Parte 2a, dell’Asia), che del Giappone scrive al lib. 2° (Taicosama), dice queste parole:
“L’Organtino ancor egli col Padre Francesco Perez passarono dallo Scimo al Meaco per aiuto di quella cristianità (p. 355). [c. 53] Di Taicosama dissi; cioè nel tempo di così fiera persecutione ch’eran forzati i Padri vivere, sepolti vivi il giorno, et operare la notte accompagnati da tanti stenti, e pericoli tra le selve, monti e caverne, quanti li traditori ordir ne potevano, e comandare un Imperatore tutto sdegno e collera, che sempre dava in nuove, e maggiori furie contro alla fede, onde bisognava stare sotterra sepolti, e marcir vivi, ove per lo più l’ammazzava la necessità, e li patimenti, prima che il ferro del persecutore”.
E più sotto, alla p. 390, quando uscì da Taicosama l’ordine d’impriggionare li Religiosi di S. Francesco, dice così:
“Lasciansi al bisogno delli fedeli in Ozaca due sacerdoti, e Paolo Michi valentissimo predicatore (egli parla del Padre Organtino), el Padre Francesco Perez; et un altro fratello, Bolo Amacusa, sul primo annottarsi del dì seguente partì per assistere alla cristianità del Meaco, accompagnato come di certo andasse alla morte da un sì dirotto pianto di quei fedeli d’Ozaca; etiamdio di dame principalissime, e poi su l’ultimo licentiarsi assalito da una tale amorevole forza che l’usarono a serbarsi vivo alle necessità della fede, e nascondersi nelle loro case”.
El Padre Realino così, nella sua delli 28 Giugno 1594 alla nostra Casa:
“Il Padre è al Giappone, e fruttifica in quel Paese, dove Nostro Signore favorisce col ministero dei nostri la conversione di quella gentilità, et aspettiamo nuovi avisi, quali tutta [c. 54] via si stampano in Roma”.
Al detto nostro Padre Francesco scrisse più lettere il Padre Realino, come dalla sua scritta nel Gennaio 1604, in cui: “S’hanno buone nuove di quei paesi, nei quali va crescendo il servitio della santa fede”. In un’altra, 27 Agosto 1607, in cui scrisse:
“Ma chi non si consola di bene nuovo, massime quando ne viene tanto servitio di Dio nostro Signore, e tanta salute di anime perdute, come accade in quei paesi pieni di tante eresie, che non appena la luce evangelica predicata da’ nostri con tanti sudori, e stenti, se bene è vero che qui amat non laborat: lode al dolce nome di Giesù ! Io penso di rispondere al Padre, ma vorrei che fusse accompagnato da una di V. S. lunga lunga, come esso la desidera; certo è che il suo cuore dice: sitis, fame e sete hanno d’ intendere che si fa alle nostre parti, come l’abbiamo noi di sapere l’avvisi di loro, sicchè nutritur amor, e potrà havere tempo per tutto il mese ch’entra, cioè di Settembre, e mandar qua la risposta che s’invierà con la mia per la via di Roma”.
Il meglio però del Perez si è essere egli stato huomo di cui si ponno scrivere cose degne di leggersi non solo in quest’Istoria, ma nell’altre più riguardevoli, come furono le continue, e forse malagevoli Missioni in che spese la sua vita nello Scimo, e nel Meaco, et altrove, costandogli persecuzioni de’ Bonzi, esilij, et vergognosissimi scacciamenti tra l’improvise persecuzioni, e rivoluzioni de’ popoli, e della furia de’soldati in armi, dove più volte si [c. 55] vidde in tal punto, che se Iddio non accecava i soldati, era l’ultimo della sua vita; et in queste medesime tribulationi preso da malatie mortali, senz’altro dove ricoverare che una capanna mal’adaggiata, il letto una stuora stesa sul terreno, il cibo poco riso, la medicina non altro che la comune in abbandono della patienza, finché disfatto dalli continui patimenti, come si disse, niente minori delle fatiche, quando gli si diede l’ultima fastidiosissima infermità, consolandosi col piacere di Dio che così voleva, e correggendo ogn’altro suo desiderio in vedersi disutile a servirlo, si godè del suo male con tanta, non che patienza, ma giubilo, che consolava chi ne accorreva per compatirlo; finalmente chiamato dal Superiore in Nangasachi, mentre ubbidiva al comando, nel porto di Caminosuchi passò a ricevere dal Signore il premio delle sue apostoliche fatighe. Et il Padre Daniello Bartoli in una sua a me scritta confessava d’essergli scappate molte cose dalla penna concernenti al nostro Padre Perez. Di cui volendo la mia Casa viva sempre la memoria lo fe’ dipingere in atto di moribondo, e ne espresse in questi pochi sensi il molto dell’eroiche sue gesta: Padre Francisco Mogavero Perez, familiae suae quondam decori, nunc tutelari amatissimo alteri in Japone Xaverio festinata laboribus morte iuxta fractum morienti, Franciscus Grassus ejusdem pronepos simulacrum posuit. Obiit vir inclytus anno Domini 1604, aetatis suae 48, Societatis 23, Apost. Missionis 16.
[c. 56] Quest’huomo di sì grandi virtù pensò non poter collocar meglio la sua sorella, che Portia Mogavero si chiamava, se non con Altobello, e cedendogli la parte che l’aspettava, volentieri gliela diede per moglie. Né andarono a vuoto li suoi pensieri, perochè non poteva capitare a miglior sogetto di questo, in cui pareva si adunasse col sapere la bontà; onde li fè godere una invidiabile pace e contentezza, ch’è quell’unica cosa che si desidera nelli matrimonij da tutti, da pochi s’ottiene ». [18]
Dopo questa lunga citazione, torniamo a Scipione Mogavero il quale, così come Sabatino De Ursis, si reca in Portogallo per perfezionare la propria formazione. Il Portogallo era stato uno dei primi paesi ad accogliere il nuovo ordine dei Gesuiti e ad inviarli in missione nelle terre d’Oriente. Il Re Giovanni III, già nel 1542, aveva fondato il primo collegio gesuitico a Coimbra e dal Portogallo partì nel 1541 Padre Francesco Saverio, spagnolo, uno dei fondatori dell’ordine e compagno di Sant’Ignazio di Loyola. Francesco Saverio era fra i primi appartenenti all’ordine portoghese (solo sette all’inizio), insieme a Padre Rodriguez, che fu poi il primo Rettore del Collegio di Coimbra. L’ordine gesuitico era all’epoca molto giovane ma in grande espansione. Con la bolla Regimini Militantis Ecclesiae del 1540, era stata confermata ufficialmente l’istituzione del nuovo ordine. Col titolo di Nunzio Apostolico, Francesco Saverio giunge a Goa in India nel 1542, dando inizio a quella lunga e gloriosissima tradizione del missionariato gesuitico d’Oriente. Da Goa, Francesco Saverio si porta a Malacca nel 1549, e insieme ad alcuni fedeli collaboratori, inizia ad evangelizzare anche le Molucche. Francesco, che fondò proprio la provincia indiana dei Gesuiti, con sede a Goa, sbarcò poi in Giappone nel 1549. In una lettera a Sant’Ignazio di Loyola del 14 gennaio 1549, Francesco Saverio così scrive: “non vedendo alcuna necessità di rimanere in India, e sicuro di trovare in Giappone delle popolazioni avide d’istruzione e libere fino ad oggi da ogni contaminazione con gli ebrei ed i maomettani, ho preso la risoluzione di recarmici al più presto, e son sicuro che le nostre fatiche produrranno frutti seri e duraturi. Paolo, uno dei tre giapponesi venuti con me, l’anno scorso vi ha scritto una lunga lettera da Malacca. In otto mesi egli ha imparato a leggere, a scrivere e a parlare il portoghese. Attualmente sta facendo, e non senza utilità, degli esercizi. Egli ci dice meraviglie del suo paese”.[19] Probabile che queste motivazioni fossero condivise da moltissimi missionari, oltre alla suggestione che il famoso libro di Marco Polo, il Milione, aveva esercitato su generazioni e generazioni di europei, suggestionati dal fascino misterioso del Cipango. Purtroppo, dopo i successi iniziali nell’evangelizzazione di quelle terre, la calorosa accoglienza iniziale dei bonzi, ovvero i sacerdoti buddisti, tosto si trasformò in irritazione e poi in aperta intolleranza, tanto che essi con vivaci proteste presso il potentato di Satsuma, convinsero l’alto funzionario ad espellere i gesuiti da Kagoshima, e fu comminato un editto di proscrizione e prevista la pena di morte per i trasgressori. Sicché agli inizi del 1550, Francesco ed i suoi compagni furono costretti a lasciare Kagoshima e recarsi ad Hirado. Né gli era riuscita l’impresa di recarsi a Miaco, l’attuale Kyoto, capitale dell’Impero. Anche ad Hirado fece migliaia di conversioni, come a Yamagucki, e successivamente si recò nel Bungo, dove parimenti fece grande proselitismo, ma quando si trovava in viaggio alla volta della Cina, si fermò nell’isola di Sancian, poiché ammalato, e lì morì nel 1552.[20] Dopo l’arrivo in India, secondo Wicki, Mogavero cambia anche il suo cognome in Peres.[21] Il Wicki riporta una lettera di Padre Silvestro Pacifico, inviata da Goa il 31 ottobre 1584 a Padre Ludovico Maselli, provinciale della Compagnia di Gesù di Napoli, in cui scrive: “Li giorni passati ricevetti una lettera dal P.Francesco Mogavero (che al presente si chiama P.Francesco Perez per non sonare bene qui il Mogavero)”.[22] Invece Schinosi afferma che Mogavero cambiò il suo cognome quando giunse in Giappone: “ Non molte notizie ci rimangono delle sue molte fatiche, salvo quelle che s’incontrano nella Istoria del Giappone, sotto la denominazione di Francesco Perez; col qual cognome cambiò quel suo proprio, che quivi agli orecchi de’Giapponesi non ben sonava”.[23]
Dopo alcuni mesi che si trovava a Goa, il Visitatore Alessandro Valignano, Provinciale dell’India,[24]assegna a ciascuno dei padri arrivati da Lisbona, la propria destinazione, fra India, Molucche, Cina e Giappone . Padre Mogavero, insieme a Padre Nicola Spinola, originario di Genova, viene mandato nella Pescheria, una regione sulla costa indiana, distante circa 45 kilometri da Goa.[25]
Nel 1585, viene inviato in Giappone. In una lettera scritta da Padre Pietro Paolo Navarro da Macao il 6 novembre 1585 al Padre Benedetto Sardi a Roma, viene descritto il viaggio da Goa a Macao in Cina. La lettera è divisa in tre parti; in particolare nella terza parte Padre Navarro (originario di Laino, Cosenza) parla del loro studio della lingua giapponese in preparazione del viaggio nell’Impero nipponico. Porta, alla fine della lettera, anche i saluti dei Padri Marco Ferraro, Mogavero e Fulvio De Gregorio.[26]
Con Mogavero da Goa per Macao partirono i due Padri de Sande e de Almeida, in compagnia di dieci altri destinati al Giappone; questi erano “due padri castigliani per nome P.Gil de Mata et P.Anton Francesco, due Portughesi l’uno il P. Giovanni Rodriguez et un Fratello Baltassar Correa, gli altri tutti siamo Italiani, come il P.Celso Confalonero, il P. Pietro Crasso, P.Francesco Perez, olim Mugavero ( o Mogavero), P.Fulvio Gregorio, P.Pietro Paolo Navarro et io”, come scriveva il Padre Marco Ferraro da Macao il 25 novembre 1585, così riportano anche le Fonti Ricciane. [27]
Come è la situazione politico-religiosa del Giappone, all’arrivo di Padre Mogavero? In quel periodo, l’Impero del Mikado sta attraversando una delle sue numerose fasi buie, nell’ambito di quella lunga epoca di crisi (che va dal 1332 al 1573) che gli studiosi definiscono “Anarchia degli Ashikaga”: guerra civile, lotte intestine per la successione al trono imperiale, disordini, miseria, violenze, che hanno come conseguenza anche quella di quasi distruggere l’enorme ricchezza culturale di cui è depositaria la civiltà giapponese. La religione più importante era ormai da secoli il Buddismo, che si era innervato su una precedente tradizione shintoista, senza comunque sradicarla, e la cui storia si identifica con la storia stessa del Giappone, sebbene ramificato in una miriade di potentissime sette spesso in contrasto fra loro. Le dispute dottrinali fra le varie sette spesso, da contese verbali, sfociavano in lotte armate che lasciavano molte vittime sul campo. Il Buddismo, col suo enorme portato culturale, influenzava la politica, tanto da portare ad una vera osmosi fra potere temporale e potere spirituale. L’influenza dei bonzi, cioè, era così grande che essa, se non soperchiava il potere degli amministratori imperiali, portava comunque tensioni ed asprezze nella gestione del potere locale e contribuiva a quello stato di disordine e di anarchia in cui versava l’Impero. Il Giappone infatti era polverizzato in tantissimi potentati locali in sanguinosa lotta fra di loro. E questa fu la situazione che poterono constatare nella metà del Cinquecento i primi europei che giunsero nell’Impero del Sol Levante. [28]All’arrivo di Mogavero, il successo della missione è più che consolidato. Ciò grazie a Padre Alessandro Valignano,[29]che era sbarcato già nel 1579 in Giappone. Nella sua permanenza, egli riscosse una incredibile serie di successi, iniziando dal giovane daimyo di Kuchinotsu, Arima Harunobu, che si converte alla religione cristiana, nel 1580, e viene battezzato da Valignano col nome di Protasio. Questo porta ad una larga evangelizzazione dei sudditi di Arima. Ma il primo daimiato ad essere convertito, all’arrivo di Valignano, fu in realtà quello di Oruma Sumitada, a Nagasaki. Oruma, che prende il nome cristiano di Bartolomeo, era stato allettato dai grandi vantaggi che avrebbe avuto con il commercio europeo, ma ciò fu sufficiente a portare un notevole numero di neofiti cristiani nel suo possedimento. Il secondo territorio che viene raggiunto è quello del Bungo dove il daymo Otomo Yoshishige dimostra sentimenti di grande apertura nei confronti dei missionari gesuiti, contro l’aperta ostilità dei bonzi buddisti. Questa larga opera di evangelizzazione avvenne grazie alle straordinarie doti strategiche di Valignano. Egli aveva capito che i missionari, per riuscire a far aprire il cuore al cristianesimo, dovevano compenetrarsi con la cultura giapponese, e infatti diede inizio ad un generale processo di assimilazione dei gesuiti agli usi e costumi degli orientali, in modo da non essere visti dai bonzi e dalla popolazione come degli stranieri, bensì come dei fratelli, appartenenti ad un’altra confessione, ma riconoscenti e integrati in quella elevatissima e prestigiosa tradizione culturale. Così i missionari iniziano a vestirsi da bonzi, a prendere i pasti e a costumarsi in tutto e per tutto come i giapponesi. Valignano, una volta giunto nello Shimo, iniziò a riorganizzare la comunità cristiana presente in Giappone, convocando varie adunanze dei padri. La missione ebbe così tanto successo che si pensò di costituire il Giappone in Provincia gesuitica, retta da un Vice provinciale. Il territorio venne diviso in tre distretti: quello di Kyoto, quello dello Hizen e quello del Bungo, ciascuno retto da un Superiore. Vennero istituiti collegi, dove i padri studiavano la lingua giapponese, e poi noviziati e seminari. Occorreva fare più proseliti possibile, anche indigeni. Si chiese inoltre al Generale della Compagnia di inviare un Vescovo e molti altri religiosi, poiché il numero dei missionari era insufficiente rispetto alle esigenze del territorio. Il Pontefice pensò di inviare anche esponenti di altri ordini religiosi per affiancare e rinforzare l’opera dei Gesuiti. Questo soprattutto perché alcuni missionari, come Padre Cabral, dimostravano resistenze nei confronti del clero giapponese, a differenza di Valignano il quale invece si batteva per fare entrare negli ordini anche i convertiti nipponici in modo da rendere più vasta la base dei neofiti.
Ma se i novizi non mancavano e l’opera di evangelizzazione mieteva sempre maggiori successi, contando ormai molte migliaia di nuovi cristiani sul territorio giapponese, di non poco conto era la questione del clero indigeno, perché a una parte della missione giapponese trasferire in un’altra lingua e soprattutto in una diversa mentalità la spiritualità cristiana, sì da fare dei nuovi adepti altrettanti predicatori, appariva un’impresa ardua se non impossibile da realizzare. Ma Valignano, per nulla scoraggiato da tali difficoltà, continuava ad ammettere neofiti giapponesi. E oltre a far pubblicare dei voluminosi vocabolari giapponesi per i Gesuiti che arrivavano dall’Europa, insieme ad alcuni teologi indigeni compilò un Catechismo in giapponese che conteneva l’esposizione della dottrina cristiana e la confutazione dei riti buddisti.[30] Intanto continuavano ad essere aperti nuovi collegi e residenze, mentre i battesimi si moltiplicavano, non solo fra i nobili ma anche fra la popolazione. Valignano, su consiglio di Padre Organtino, volle visitare anche il Gokinai e insieme ai padri Luigi Froez, Loreno Mexia, Oliviero Toscanelli e altri, si mise in viaggio alla volta di Kyoto, nel 1581, non mancando di fare nuovi proseliti ad ogni tappa che toccasse del lungo e periglioso viaggio. Nel Gokinai, il principe Nobunaga era molto ben disposto verso il Cristianesimo e dunque il terreno si presentava fertile per la missione gesuitica. Altre missioni furono nel Mino, con Padre Gregorio de Cespedes e Padre Paolo da Amakusa, e nell’Owari. Ancora, nell’Echizen, con Padre Froez e Padre Cosimo giapponese. Sia il daimyo di Omi che quello di Owari si convertono insieme alle loro famiglie e il Cristianesimo appare in grande fioritura; numerosissime le conversioni, specie nel Gokinai, anche fra i samurai, così come fra i nobili, che seguono l’illustre esempio di Nobunaga. Valignano si reca anche a far visita a Nobunaga. Grandi feste si fanno in onore dei padri gesuiti che il dittatore colma di doni. Valignano, più che soddisfatto dell’andamento delle cose, decide dunque di tornare in India, non prima di avere fatto una tappa a Nagasaki per visitare anche quella importante comunità. Qui si trattiene più del previsto ed è in questo daimiato che concepisce un grandioso disegno, cioè quello di inviare un’ambasciata di nobili giapponesi in visita al Papa e alla corte del Re del Portogallo, cosa che avrebbe certamente destato grande fervore nella giovane cristianità giapponese: un disegno, questo di Valignano, condiviso dai suoi compagni Organtino, Froez, Vilela, Cosme de Torres, ma di una audacia inaudita per i giapponesi, che non avevano mai valicato i confini della propria nazione. Al termine del suo viaggio in Giappone, nel 1581, la cristianità nipponica contava 150.000 fedeli, a soli 33 anni dallo sbarco su suolo giapponese di San Francesco Saverio. Erano sorte centinaia di chiese e le richieste di battesimi e confessioni sopravanzavano di molto le reali possibilità dei padri gesuiti. Anche le disponibilità economiche della missione erano veramente scarse, tanto che il Papa Gregorio XIII, con la bolla Mirabilia Dei, accorda un sussidio annuo all’opera missionaria e il suo successore, Sisto V, con la bolla Divina bonitas, incrementa il sussidio, comunque insufficiente rispetto alle reali esigenze. Valignano nomina Padre Organtino Superiore della provincia del Giappone e l’opera instancabile dei padri produce una messe insperata di nuovi fedeli, anche se la morte dell’Imperatore Nobunaga, che era stato il massimo protettore della cristianità, procura una battuta di arresto. Infatti, vi fu una sollevazione da parte dei samurai nei confronti di Nobunaga che portò alla guerra civile e all’uccisione dello stesso Imperatore. Dalla lettera annua del 1583 dei Gesuiti del Giappone viene descritta una situazione veramente disastrosa, con disordini e spargimenti di sangue fra le province di Azuchi, Miyako e Takatsuki. Dalla asperrima guerra civile, venne fuori il nuovo Imperatore: Hideyoshi. Con una lunga ascesa, questo combattente riesce a pacificare il territorio e nel contempo a sbarazzarsi di tutti i suoi avversari, gli altri daimyo che gli contendevano il potere.
Anche il nuovo dittatore, Hideyoshi, sebbene per motivi tutt’affatto estranei alla sua religiosità, all’inizio di dimostra molto aperto nei confronti del Cristianesimo, soprattutto come instrumentum regni, poiché sa quanto questo sia importante per i vari daimyo locali. Hideyoshi, non solo sottomette il Kyushu, ma reprime molte ribellioni che erano sorte nell’Omi, nel Mino e nell’Ise. Con una lunghissima repressione, riesce a sconfiggere gli avversari interni e a imporre il suo potere su tutto il territorio isolano, eleggendo Osaka capitale, e stabilendovi la sua dimora. Il nuovo dittatore riceve Padre Organtino, al quale dà massime rassicurazioni riguardo la possibilità dei padri di continuare liberamente ad evangelizzare. Anzi, ad Osaka viene anche aperta la prima chiesa cristiana. Sembra che il dittatore si ponga come il vero patrono della missione cristiana, tanto che lo stesso Vice provinciale, Gaspare Coelho, pensa bene di recarsi a far visita al nuovo Signore del Giappone e, accompagnato da Padre Froez e da Organtino, parte da Nagasaki per Osaka. Ma la visita al castello di Hideyoshi ben presto rivela quali siano le intenzioni ultime del dittatore, che nel frattempo continuava le sue spedizioni militari per l’unificazione del Giappone. Nonostante egli riservi grandi onori ai missionari cristiani, non manca di esporre a Padre Coelho il suo piano di conquista. Dopo aver sottomesso gli ultimi potentati locali, egli avrebbe voluto procedere alla conquista della Corea e della Cina e per questo chiedeva al Portogallo due grandi navi militari che rafforzassero la sua già potente flotta in quella ambiziosa impresa. I padri avrebbero quindi dovuto fare da intermediari con il re del Portogallo, in cambio del suo appoggio alla missione cristiana e della repressione della religione dei bonzi, con la graduale trasformazione di tutte le pagode buddiste in chiese cristiane. Questo è il momento in cui il nostro Scipione giunge nell’Impero del Mikado.
Dopo la sottomissione del Kyushu e i ripetuti scambi di visite fra il dittatore Hideyoshi e il Vice Provinciale Coelho, sembrava che con l’evangelizzazione anche di quella regione, si avviasse per il cristianesimo giapponese il periodo più florido dall’arrivo di Francesco Saverio. Invece, giunse l’editto di Hideyoshi del 1587 che avrebbe portato poi alla caduta del Cristianesimo. Si intimava ai religiosi di abbandonare il territorio giapponese entro venti giorni. Il Padre Coelho radunò tutti i religiosi a Hirado ma le condizioni del tempo per la partenza non erano certo favorevoli, poiché imperversava la stagione dei monsoni e prima di sei mesi nessuna nave avrebbe potuto salpare. L’editto di persecuzione elencava alcuni punti, a cagione dei quali si imponeva il bando dei Gesuiti. Fra le varie contestazioni che venivano loro mosse erano quella di voler evangelizzare con la forza, quindi utilizzando metodi violenti attraverso i daimyo sulla popolazione, quella di aver abbattuto le pagode per erigervi delle chiese, poi di aver perseguitato i bonzi, di mangiare carne di vacca e di bue, e inoltre di tollerare la pratica dello schiavismo perpetrata dai mercanti portoghesi anche a discapito degli stessi giapponesi. Fra i vari storici della Compagnia di Gesù, il Bartoli sostiene che questo editto venne causato da un ritorno di Hideyoshi alla religione buddista, in particolare dalla sua venerazione per una enorme statua del Budda, che costituiva una delle meraviglie del Giappone, ma anche dal generale moto di indignazione nei confronti dei mercanti portoghesi a causa delle loro scorrette pratiche commerciali e dello schiavismo, quindi verso gli stessi padri per la loro incoerenza fra il dire e il fare e la loro ipocrisia nel sopportare, se non addirittura favorire, tali pratiche. Altri studiosi sostengono invece che la causa principale dell’editto sia da ricercarsi nei mutamenti sociali e politici che il Giappone sopportava in quegli anni, con le lotte interne per il potere e la smisurata ambizione di Hideyoshi di unificare tutto il territorio sotto il proprio potere. Il Bernard sostiene che in seguito agli intrighi orditi dagli Spagnoli nelle Filippine tra il 1584 e il 1586, il dittatore temesse che in realtà gli Spagnoli, alleati con i Portoghesi, volessero lanciare il loro piano di conquista anche sul Giappone. Certo, a contribuire furono più fattori. Sicuramente la scandalosa condotta dei mercanti portoghesi, i quali non si facevano scrupoli di calpestare la morale cristiana pur di concludere le loro operazioni commerciali. Adusi al vizio, corrotti e spregiudicati, i trafficanti portoghesi praticavano anche lo schiavismo e la loro disonestà e la scorrettezza nella conduzione degli affari con i Giapponesi finì per mettere in cattiva luce anche i padri missionari, considerati correi. I funzionari imperiali si convinsero ben presto che ci fosse un chiaro disegno da parte della corona spagnola e portoghese di assoggettare il Giappone e farne una colonia europea e che i frati predicatori fossero solo il paravento di una ben diversa finalità. Hideyoshi inoltre vedeva con sospetto il rapporto di totale fiducia, se non di quasi sudditanza, che si era creato fra i gesuiti e la popolazione e anche con i daimyo e i nobili cristiani. Questa grande forza del Cristianesimo veniva considerata pericolosa dal potente dittatore. Di fronte all’editto di proscrizione, i padri Gesuiti si trovarono nel profondo dilemma se obbedire al bando e abbandonare il territorio giapponese, oppure restare a costo della propria vita. L’intendimento fu quello di offrire la propria persona al martirio e tutti i frati, dai più anziani ai giovani novizi si dimostrarono fieri di poter versare il proprio sangue per la religione. L’esempio dei padri non fece che infervorare maggiormente i cristiani presenti sul territorio i quali preferirono morire piuttosto che abiurare. E quando Hideyoshi venne a sapere che nella nave in partenza non si erano imbarcati che pochissimi cristiani, in un eccesso di furore inasprì la repressione e minacciò di pena capitale tutti coloro che avessero dato aiuti ai cristiani.[31] Per quanto riguarda Scipione Mogavero, le notizie che abbiamo sulla sua permanenza in Giappone ci dicono che anch’egli doveva essere sulla nave che avrebbe dovuto riportare i religiosi a Macao, ma anch’egli come gli altri non volle partire, anche a costo di rischiare la propria vita.[32] Unico baluardo della comunità cristiana giapponese restava Padre Organtino Gnecchi il quale, per poter continuare a dare una guida spirituale al proprio popolo, è costretto a fuggire e nascondersi per scampare alle persecuzioni, insieme a pochi confratelli. Egli vive nascosto in latitanza grazie agli aiuti forniti dai alcuni daimiati locali, soprattutto nel Gokinai. In effetti, tutti i Gesuiti rimasti in territorio giapponese realizzano che per non indispettire ulteriormente il dittatore devono adottare una maggiore discrezione e non possono più evangelizzare apertis verbis, come era accaduto fino ad allora. Essi cioè entrano in un cono d’ombra, vivendo in semi clandestinità. Anche Scipione, resta nello Shimo, “nonostante mille pericoli e immagini di morte”, come afferma Schinosi.[33] Tuttavia, dopo questa prima fase di furore, il dittatore Hideyoshi sembra ritornare sui suoi passi, e infatti riceve anche due visite del Padre Valignano che nel 1591 era tornato in Giappone. L’imperatore aveva preso in considerazione il rischio di perdere i lucrosi affari che la compagnia mercantile portoghese e spagnola intratteneva col Giappone.
Nell’ottobre del 1592 comunque, venne inviato da padre Valignano a Myako, insieme ad altri tre confratelli giapponesi, poiché la comunità cristiana di Myako era messa a repentaglio dall’ostilità dell’Imperatore Hydeoshi. Infatti, lo stesso Visitatore Valignano pensò di lasciare il Giappone alla volta di Macao, affidando la comunità di Miyako a Mogavero. La fonte è Bartoli, il quale riferisce che per Padre Valignano restare in Giappone avrebbe significato mettere in grave pericolo non solo la propria vita ma anche quella dei confratelli, che furono addoloratissimi di vederlo partire. Tuttavia, la decisione era presa e Valignano partì da Nagasaki alla volta di Macao. Invece, dallo Scimo giunsero a Meaco Padre Perez con Padre Organtino, che risiedeva a Nagasaki con Valignano, e altri tre fratelli.[34] Successivamente, grazie all’intercessione del Governatore di Meaco, Padre Organtino ottenne di poter tornare a Nagasaki.[35] Mogavero, nella sua instancabile opera di evangelizzazione, si spostò successivamente a Osaka e qui si trovava nel 1597 quando l’Imperatore Hydeyoshi ordinò la ripresa delle persecuzioni cristiane che portarono all’arresto e alla condanna a morte per crocifissione di 26 martiri cristiani fra gesuiti e francescani, anche giapponesi, arrestati fra Kioto e Osaka.
Procediamo con ordine per illustrare meglio la situazione.
Le due visite di Valignano, nel 1591 e nel 1592, avevano fatto addivenire il dittatore a più miti consigli, anzi alcuni storici le definirono come dei grandi successi diplomatici, sebbene Padre Valignano si presentasse non nella sua veste religiosa ma in quella politica di ambasciatore del Vicerè di Goa. Hideyoshi comunque si dimostrava davvero disponibile a sempre nuove aperture verso i missionari cristiani, forse rallegrato dai successi che la sua armata stava ottenendo nella guerra contro la Corea; infatti nel 1593, ricevette un’altra visita da Macao, di Padre Francesco Pasio, segretario del Vice provinciale, al quale accordò che dieci missionari risiedessero a Nagasaki; sembrava che la chiesa cristiana ormai risorgesse e l’editto di proscrizione fosse dimenticato, con grande giubilo di Padre Coelho, Vice Provinciale. A questo punto, in quel complesso scacchiere geografico che era l’Estremo Oriente, iniziano a verificarsi degli accadimenti politici che invalidano tutti gli sforzi compiuti dai Gesuiti. Intanto, in Giappone arrivano molte ambasciate degli altri ordini mendicanti, in primis i Francescani, provenienti da Manila, e poi anche i Domenicani e gli Agostiniani, i quali non si fanno scrupoli di invadere nella loro opera missionaria le sfere di competenza dei Gesuiti. Infatti, a bordo della nave San Felipe, il 19 ottobre 1596, erano giunti quattro agostiniani, un domenicano e due francescani, sbattuti dalla tempesta sulla costa di Tosa, nell’isola di Shikoku. In particolare, la rivalità fra Gesuiti e Francescani si fa davvero violenta e riflette poi quella mai sopita fra Portogallo e Spagna, come si evince dalle lettere spedite dai Gesuiti. A questo si aggiungano le sempre crescenti tensioni fra Spagna e Portogallo in merito alle Filippine, sulle quali si appuntavano anche gli interessi di Olanda e Inghilterra. La guerra che Hideyoshi aveva intrapreso con la Corea, nelle intenzioni dello Shogun, era propedeutica al suo disegno più ambizioso, ossia quello di conquistare la Cina. Ma dopo un inizio fortunato, le sorti del conflitto sembravano volgere al peggio per il Giappone, perché la Corea opponeva una strenua difesa, grazie ad una flotta navale di peso non indifferente. La svolta ci fu quando la Corea chiese aiuto alla Cina che, se in un primo momento era restata indifferente, decise poi di abbandonare la posizione di neutralità e di schierarsi apertamente al fianco di Seul. Con l’intervento della flotta cinese accanto ai coreani, la guerra si trasformò in un insuccesso per Hideyoshi, il quale fu costretto a ritirare le sue armate e ad abbandonare la Corea. La guerra si concluse con la pace fra Giappone e Cina. Lo stato d’animo del dittatore dunque non era dei migliori e anche la sua tolleranza nei confronti dei religiosi andava affievolendosi.[36] Si tenga presente che nel 1596 il Giappone fu anche funestato da un terribile terremoto e Padre Mogavero, che si trovava lì, si salvò per miracolo, come riferisce Santagata.[37] Una serie di fattori determinò una recrudescenza delle persecuzioni cristiane. Bartoli e Charlevoix riferiscono che i francescani spagnoli si inimicarono alcuni funzionari imperiali facendo loro sospettare che i frati fossero soltanto degli emissari del Re Filippo II, col compito di preparare il terreno per la successiva conquista del Giappone. I successi che l’armata spagnola aveva conseguito in quegli anni nell’America Latina, colonizzando il Perù, il Messico, e poi con la conquista delle Filippine, avvaloravano questi sospetti. Ciò scatenò le ire di Hideyoshi, il quale si convinse che l’opera evangelizzatrice dei missionari fosse prodromica ad un assalto armato da parte della Corona spagnola e portoghese per assoggettare il territorio. In realtà, come sostengono il Murdoch ed altri storici, fu il clima avvelenato fra francescani e gesuiti che fece degenerare la situazione, con pesanti accuse e calunnie nei confronti dei gesuiti lanciate dai francescani spagnoli e rimbalzate anche alle orecchie del dittatore, il quale, in un impeto di furore, promulgò il 2 gennaio 1597 la condanna a morte, che portò al martirio dei 26 religiosi. Essi furono crocifissi a Nagasaki, dopo essere stati martoriati nei loro corpi, il 5 febbraio 1597. Nel pomeriggio di quello stesso giorno, il Vescovo Martinez si recò sul posto, proclamandoli martiri. Per ordine di Hideyoshi i loro corpi vennero lasciati appesi alla croce fino alla decomposizione e il luogo divenne subito mèta di pellegrinaggio. La sentenza prevedeva che non si professasse più la religione cristiana sul territorio giapponese, pena la morte per i trasgressori. Trent’anni dopo, nel 1627, i martiri vennero beatificati da Papa Urbano VIII, e nel 1862 santificati dal Papa Pio IX.[38] Il martirio viene anche descritto dal mercatante Francesco Carletti nelle pagine del suo libro: “Tornando al proposito del nostro sbarco fatto alla città di Nangasachi, noi andammo subito a vedere il spettacolo di quelli poveri (quanto al mondo) sei frati di S. Francesco, dell’ordine delli scalzi di Spagna, che erano stati crocifissi insieme con altri venti Giapponesi cristiani alli 5 del mese di febbraio di quel medesimo anno 1597, fra quali ve ‘erano tre che avevano preso l’abito de’ Gesuiti. Tutti restavano ancora [nel mese di giugno] intieri in sù le croci, posti sopra l’alto d’un monte lontano dalla città un tiro d’archibugio. Le croci erano fatte come quella che fu crocifisso nostro Redentore, ma di più avevano un pezzo di legno in mezzo dell’asta o tronco, che usciva fuori dalla parte dinanzi, sopra il quale il patiente vi si mette a cavalcioni, che l’aiuta a sostenere il corpo: di più alli piedi vi è un legno a traverso, come il braccio di sopra ma non così grande, nel quale gli legano li piedi con le gambe aperte, et in cambio di chiodi usano maniglie di ferro, che conficcano nel legno afferrando i polsi del braccio, il collo e le gambe presso alla noce del piede; o vero legano con fune tutto il corpo, e mentre fanno nell’uno e nell’altro modo tengono la croce in terra et il patiente ve si distende sopra, e accommodatovelo, subito alzano la croce, et messo il piede d’essa in una buca fatta aposta la rincalzano di terra e pietre perché resti ben ferma e salda. Fatto questo, il giudicc […] commanda al manigoldo che dia con una lancia al patiente crocifisso, la quale, mettendogliene per il lato dritto e passando per il manco gli attraversa il cuore e li va fuora delle spalle nell’omero sinistro, trapassando tutto il corpo da parte a parte. Molte volte vanno doi manigoldi, ciascuno con la sua lancia, dandoli uno da una banda et l’altro dall’altra, che 8 incrocichiandosi le lancie vanno a riuscire tutte e due le punte sopra le spalle, e così in un subito finiscono la vita”.[39] Il colle sul quale avvenne il martirio venne denominato “Colle santo”. Tre furono i martiri gesuiti: Paolo Miki, che era stato allievo di Padre Organtino, Giovanni di Goto, assistente di Paolo Miki, Pietro Sukejiro, il quale era stato inviato da Padre Organtino ad assistere i martiri sulla via del Calvario e che finì egli stesso nel novero di essi.
Tornando a Scipione, nel 1598, il Vescovo Pietro Martinez, costretto a tornare in Europa per sostenere la causa dei Gesuiti del Giappone accusati di vari reati e corruzione davanti a Re Filippo II e al Papa Clemente VIII , volle portare con se il Padre Perez Mogavero. Nel viaggio però il prelato si ammalò e poco prima di giungere a Malacca morì. Così Mogavero ritornò in Giappone, dove riprese il suo missionariato in condizioni sempre più difficili.[40] Sappiamo anche da Santagata che Mogavero compose un’opera: “Oltre alle ordinarie sue faccende, compose una robusta Scrittura in lingua giapponese ordinata a confutare il principale insegnamento della Filosofia de’Bonzi, che giudicano, il tutto originarsi dal Caos, cioè dal nulla in atto, e dal tutto in potenza”, ma purtroppo questa è andata perduta. [41]
La sua data di morte secondo Santagata si colloca nel 1604.[42] Egli sostiene che Mogavero, ammalatosi a Myako, venne mandato a Nagasaki per potersi curare ma morì durante il viaggio, esattamente il 2 gennaio del 1604, dunque all’età di 53 anni.
Secondo lo Schutte, che riporta una lettera di Padre Gabriele de Matos, Mogavero morì nel maggio del 1602,[43] e così anche sostiene Wicki.[44]
Si conclude così la vita di Francesco Perez, al secolo Scipione Mogavero, eroe della fede cristiana, sul quale è auspicabile si possano produrre ulteriori approfondimenti.
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Copia di due lettere annue scritte dal Giapone del 1589 et 1590, Roma, appresso Luigi Zanetti, 1593;
Lettera del p. Alessandro Valignano. Visitatore della Compagnia di Giesu nel Giappone e nella Cina de’ 10. d’Ottobre del 1599. Al r. p. Claudio Aquaviva Generale della medesima Compagnia, Roma, appresso Luigi Zanetti, 1603 ;
D. Ferrante Valignani, Vita del Padre Alessandro Valignani della compagnia di Giesù descritta dall’abate Don Ferrante Valignani, Roma, Stamperia di Gaetano Zenobi, 1698;
Vittorio Volpi, Il Visitatore. Un testimone oculare del misterioso Giappone del secolo XVI, Milano,Piemme 2004;
Luca, Alessandro Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture, EMI, Bologna, 2005;
Alessandro Valignano, Il cerimoniale per i missionari del Giappone, a cura di Josef Franz Shutte, saggio introduttivo di Michela Catto, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011.
Su Bernardino Realino:
Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, Lecce, Tip. Pietro Micheli, 1634, pp.162-176;
Vita del Padre Bernardino Realino da Carpi della Compagnia di Gesù composta dal P.Giacomo Fuligatti della medesima Compagnia, Viterbo, 1644;
Menologio di pie memorie di alcuni Religiosi della Compagnia di Gesù, raccolte dal P.Giuseppe Antonio Patrignani della medesima Compagnia e distribuite per quei giorni dell’anno ne’ quali morirono, dall’anno 1538 fino all’anno 1728, Volume III, Venezia, Tip. Nicolò Pezzana, 1730;
Vita del Venerabile Padre Bernardino Realino della Compagnia di Gesù scritta dal P.Giuseppe Boero della medesima Compagnia, Postulatore della causa, Roma, Tip. Bernardo Morini, 1852;
Cenni biografici del Venerabile Padre Bernardino Realino scritti dal suo concittadino Isidoro Maini, Modena, Tip. Immacolata Concezione, 1869;
Compendio della vita del V.P. Bernardino Realino d. C.d.G. apostolo della città di Lecce, scritto dal P.Giuseppe Broia della medesima Compagnia, Lecce, Tip. Fratelli Spacciante, 1892;
Ettore Venturi, Storia della vita del Beato Bernardino Realino: sacerdote professo della Compagnia di Gesù, scritta e illustrata dal P.Ettore Venturi della medesima Compagnia, Roma, Tipografia Befani, 1895;
Vincenzo Dente, Un santo educatore e letterato gesuita, in “La civiltà cattolica”, LXXXII (1931), pp. 21-36, 209-225;
Pietro Tacchi Venturi- Mario Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Vol. III, L’epoca di Giacomo Laínez, il governo (1556-1565), Roma 1964, p. 293;
Aa. Vv., Defensor Civitatis Modernità di padre Bernardino Realino Magistrato, Gesuita e Santo Atti del Convegno Internazionale di Studi a quattrocento anni dalla morte (1616-2016) Lecce 13-15 ottobre 2016, a cura di Luisa Cosi e Mario Spedicato, Società Storia Patria Sezione di Lecce, Lecce, Edizioni Grifo, 2017.
[1] Carlos Sommervogel S.I., Augustin De Backer & Aloys S.I., Bibliothèque de la Compagnie de Jésus. Bibliographie Tome V: Lorini – Ostrozanski Bruxelles/Paris, Schepens/Picard, 1894, p.1155 e Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, descritta dal P. Saverio Santagata della medesima Compagnia dedicata a sua Eminenza Il Signor Cardinale Antonino Sersale, Arcivescovo di Napoli, Parte Terza, Napoli, Stamperia Vincenzo Mazzola, 1757, pp.135-137.
[2] Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXX, MIssiones Orientales, edidit Joseph Wicki Documenta Indica Vol XII (1580-1583), Roma, Monumenta Historica Soc. Iesu, 1972, p.14.
[3] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da Francesco Schinosi della medesima Compagnia Parte prima, Napoli, Stamperia Michele Luigi Mutio, 1706, p.345.
[4] Joseph Wicki Documenta Indica, op.cit., Vol XII (1580-1583), Roma, 1972, pp.12-14
[5] Francesco Schinosi S.I., Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da Francesco Schinosi della medesima Compagnia Parte Prima, Napoli, Stamperia Michele Luigi Mutio, 1706, p.344.
[6] Joseph Wicki Documenta Indica, op.cit., Vol XII (1580-1583), Roma, 1972, pp.875-885.
[7] Aldo de Bernat e Mario Cazzato, Una chiesa un centro storico, Galatina, Congedo, 1989, p.155
[8] Aldo de Bernart, Iconografia di san Luigi Gonzaga in Ruffano, (Memorabilia 16), Ruffano, Tipografia Inguscio e De Vitis, 2008.
[9] Sabatino De Ursis (1575-1620), missionario in Cina, scienziato, astronomo, architetto, erudito, fu un personaggio straordinario, sul quale esiste una vastissima bibliografia ma non ancora uno studio organico.
[10] Aldo de Bernat e Mario Cazzato, op.cit.,p.165
[11] Alessano tra storia e storiografia”, a cura di Mario Spedicato,Tomo II, Le fonti documentarie, di Antonio Caloro e Francesco De Paola, Società Storia Patria sezione di Lecce, Trepuzzi, Maffei editore, 2013.
[12] Su San Bernardino Realino (1530-1616), una vasta bibliografia. Fra le fonti più antiche: Giulio Cesare Infantino, Lecce sacra, Lecce, Tip. Pietro Micheli, 1634, pp.162-176; Vita del Padre Bernardino Realino da Carpi della Compagnia di Gesù composta dal P.Giacomo Fuligatti della medesima Compagnia, Viterbo, 1644; Menologio di pie memorie di alcuni Religiosi della Compagnia di Gesù, raccolte dal P.Giuseppe Antonio Patrignani della medesima Compagnia e distribuite per quei giorni dell’anno ne’ quali morirono, dall’anno 1538 fino all’anno 1728, Volume III, Venezia, Tip. Nicolò Pezzana, 1730; Vita del Venerabile Padre Bernardino Realino della Compagnia di Gesù scritta dal P.Giuseppe Boero della medesima Compagnia, Postulatore della causa, Roma, Tip. Bernardo Morini, 1852; Cenni biografici del Venerabile Padre Bernardino Realino scritti dal suo concittadino Isidoro Maini, Modena, Tip. Immacolata Concezione, 1869; Compendio della vita del V.P. Bernardino Realino d. C.d.G. apostolo della città di Lecce, scritto dal P.Giuseppe Broia della medesima Compagnia, Lecce, Tip. Fratelli Spacciante, 1892; Ettore Venturi, Storia della vita del Beato Bernardino Realino: sacerdote professo della Compagnia di Gesù, scritta e illustrata dal P.Ettore Venturi della medesima Compagnia, Roma, Tipografia Befani, 1895; Vincenzo Dente, Un santo educatore e letterato gesuita, in “La civiltà cattolica”, LXXXII (1931), pp. 21-36, 209-225; Pietro Tacchi Venturi- Mario Scaduto, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, Vol. III, L’epoca di Giacomo Laínez, il governo (1556-1565), Roma 1964, p. 293. La fonte più recente è Aa. Vv., Defensor Civitatis Modernità di padre Bernardino Realino Magistrato, Gesuita e Santo Atti del Convegno Internazionale di Studi a quattrocento anni dalla morte (1616-2016) Lecce 13-15 ottobre 2016, a cura di Luisa Cosi e Mario Spedicato, Società Storia Patria Sezione di Lecce, Lecce, Edizioni Grifo, 2017.
[13] Alessano tra storia e storiografia, a cura di Mario Spedicato, op.cit., pp.114-115.
[14] Ivi, pp.114-115.
[15] Aldo de Bernart, Note sull’arte medica in Ruffano tra Cinque e Settecento. (Memorabilia 9-10),Ruffano , Tip. Inguscio e De Vitis, 2006.
[16] Ivi
[17] Ivi
[18] Alessano tra storia e storiografia”, a cura di Mario Spedicato, op.cit., pp.114-189.
[19] A.M. Faivre, Lettres De S. François Xavier, Apôtre Des Indes Et Du Japon, Traduites Sur L’édition Latine De Bologne De 1793, Précédées D’une Notice Historique Sur La Vie De Ce Saint, Et Sur L’établissement De La Compagnie De Jesus, Par A. M. F***, Éditeur. Tome Second A Lyon, Chez Perisse Frères, Impr.-Llbraires, Rue Mercière, N.33. A Paris, Chez Les Mêmes, Place Saint-André-Des-Arts, N.11, 1830, p.302.
[20] Fra la sterminata bibliografia in materia, si veda: Monumenta Xaveriana, ex autographis vel ex antiquioribus exemplis collecta, A Padre Alessandro Valignano S.I. ex India Romam missa (Historia del principio y progreso de la Compañía de Jesús en las Indias orientales), (opera in 16 volumi) Tomus Primus, Matriti, Typis Augustini Avrial, 1899-1900, pp. 2-199; P.-L. Jos.-Marie Gros S.I., Saint François De Xavier Sa Vie Et Ses Lettres Tome Premier François De Xavier, en Europe Et Dans L’inde, Toulouse, Edouard Privat, Libraire-Éditeur, 45, Rue Des Tourneurs Paris Victor Retaux Libraire-Éditeur, 82, Rue Bonaparte, 1900; Vinzo Comito, Storia della Cristianità in Giappone nei secoli XVI e XVII, Primo Volume, Torino, Marietti, 1973, pp.15-64.
[21] Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXX, MIssiones Orientales, edidit Joseph Wicki Documenta Indica Vol XII (1580-1583), Roma, Monumenta Historica Soc. Iesu, 1972, p.14
[22] Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXX, MIssiones Orientales, edidit Joseph Wicki Documenta Indica Vol XIII (1583-1585), Roma, Monumenta Historica Soc. Iesu, 1975, pp.517-525.
[23] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da Francesco Schinosi della medesima Compagnia Parte prima, Napoli, Stamperia Michele Luigi Mutio, 1706, p.345.
[24] Alessandro Valignano era stato nominato nel 1572 dal Generale dell’ordine, Mercurian, Visitatore delle Indie Orientali
[25] Joseph Wicki, Documenta Indica Vol XII (1580-1583), op.cit., p.14 e Vol XIII (1583-1585), op.cit., pp.517-525.
[26] Opere Storiche Del P. Matteo Ricci S.I., Edite a cura del Comitato per le Onoranze Nazionali con Prolegomeni Note e Tavole. Volume Secondo Le Lettere dalla Cina, Macerata, Stabilimento Tip. Giorgetti 1911-1913, pp.441-446.
[27] Fonti Ricciane edite e commentate da Pasquale D’Elia S.I., sotto il patrocinio della Reale Accademia d’Italia, Volume I, Storia dell’Introduzione del Cristianesimo in Cina, Roma, La Libreria dello Stato, 1942, p.225.
[28] Vinzo Comito, Storia della Cristianità in Giappone nei secoli XVI e XVII, Primo Volume, Torino, Marietti, 1973, pp-15-26.
[29] Anche sul Valignano (1539-1606), esiste una vasta bibliografia. Fra le fonti più antiche, citiamo: Alessandro Valignano, Catechismus christianae fidei. Lisbon: Antonius Riberius, 1586 (opera rarissima ma inclusa nel primo volume di Antonio Possevino, Bibliotheca Selecta Qua Agitur De Ratione Studiorum in Historia, in Disciplinis, in Salutem Omnium Procuranda, Roma, Typographia Apostolica Vaticana, 1593); Copia di due lettere annue scritte dal Giapone del 1589 et 1590, Roma, appresso Luigi Zanetti, 1593; Lettera del p. Alessandro Valignano. Visitatore della Compagnia di Giesu nel Giappone e nella Cina de’ 10. d’Ottobre del 1599. Al r. p. Claudio Aquaviva Generale della medesima Compagnia, Roma, appresso Luigi Zanetti, 1603 ; D. Ferrante Valignani, Vita del Padre Alessandro Valignani della compagnia di Giesù descritta dall’abate Don Ferrante Valignani, Roma, Stamperia di Gaetano Zenobi, 1698. Fra le opere recenti, Vittorio Volpi, Il Visitatore. Un testimone oculare del misterioso Giappone del secolo XVI, Milano,Piemme 2004; A. Luca, Alessandro Valignano. La missione come dialogo con i popoli e le culture, EMI, Bologna, 2005; Alessandro Valignano, Il cerimoniale per i missionari del Giappone, a cura di Josef Franz Shutte, saggio introduttivo di Michela Catto, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2011.
[30] Vinzo Comito, op.cit., p.26.
[31] Tutte le informazioni storiche sono tratte da Vinzo Comito, Storia della Cristianità in Giappone nei secoli XVI e XVII, 3 Volumi, Marietti, 1973,passim, per il quale le fonti maggiormente utilizzate sono: le lettere dei missionari conservate all’ARSI, fra queste molte lettere di Padre Froez; Doroteo Shilling O.F.M., Le attività scolastiche dei gesuiti in Giappone durante i secoli XVI e XVII, in “Pensiero missionario”, vol. IX, Roma, 1937; D’Elia, I grandi missionari, Alessandro Valignano, Roma, Edizione Unione Missionaria Clero Italiano, 1940; A.M. Faivre, Lettres De S. François Xavier, Vol. I-II-III, 1830; Delplace, Le Catholicisme Au Japon. S. FrançoisXavier Et Ses Premiers Successeurs 1540-90 Par L. Delplace, S. J. Tome premier, Bruxelles, 1909; Daniello Bartoli Dell’istoria della Compagnia di Gesù, Asia, Volume secondo, Il Giappone, Roma, Stamperia Ignatio de’ Lazzeri, 1653; Padre Henri Bernard S.I., Infiltrations Occidentales au Japon, in Bulletin de la Maison Franco-Japonaise, tomo II, n.1-4, Tokyo, 1939; Giovanni Crasset S.I., Histoire de l’Eglise du Japon, tomo pimo, Paris, 1969; molti articoli tratti dai Monumenta Nipponica, fondati da Sophia University, Tokyo, 1938; Lorenzo Perez O.F.M., Origen de las Misiones Franciscanas en el Extremo Oriente, Madrid, 1916; e molte altre.
[32] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, descritta dal P. Saverio Santagata della medesima Compagnia dedicata a sua Eminenza Il Signor Cardinale Antonino Sersale, Arcivescovo di Napoli, Parte Terza, Napoli, Stamperia Vincenzo Mazzola, 1757, p.136
[33] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli descritta da Francesco Schinosi della medesima Compagnia Parte Prima, Napoli, Stamperia Michele Luigi Mutio, 1706, p.344.
[34] Daniello Bartoli Dell’istoria della Compagnia di Gesù, Seconda Parte L’asia: Il Giappone, Libro secondo, Roma, Stamperia Ignatio de’ Lazzeri, 1660, p.169.
[35]Abbè Profillet, Le martyrologe de l´Eglise du Japon 1549-1649, par l’Abbè Profillet, ancien Aumenier de la Flotte et de l’armée, Tome III, Paris, Tèqui Libraire-Editeur, 1897, p.287.
[36] Notizie storiche tratte da Vinzo Comito, op.cit., passim.
[37] Saverio Santagata Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, descritta dal P. Saverio Santagata della medesima Compagnia dedicata a sua Eminenza Il Signor Cardinale Antonino Sersale, Arcivescovo di Napoli, Parte Terza, Napoli, Stamperia Vincenzo Mazzola, 1757, p.136.
[38] Vinzo Comito, op.cit., passim. Si veda anche Patrizia Carioti, Cina e Giappone sui mari nei secoli XVI e XVII, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2006, passim.
[39] Francesco Carletti, Ragionamenti del mio viaggio intorno al mondo, a cura di Abele Dei, Milano, Mursia, 2008, p. 130.
[40] Santagata, op.cit., p.137.
[41] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, descritta dal P. Saverio Santagata della medesima Compagnia dedicata a sua Eminenza Il Signor Cardinale Antonino Sersale, Arcivescovo di Napoli, Parte Terza, Napoli, Stamperia Vincenzo Mazzola, 1757, p.136.
[42] Istoria della Compagnia di Gesù appartenente al Regno di Napoli, descritta dal P. Saverio Santagata, op.cit., pp.135-137.
[43]Josephus Franciscus Schutte S.I, Introductio ad Historiam Societatis Jesu in Japonia 1549-1650, ac Prooemium ad catalogos Japoniae edendos. Ad edenda Societatis Jesu Monumenta Historica Japoniae propylaeum, Romae : Apud Institutum Historicum Soc. Jesu, 1968, p.339.
[44] Monumenta Missionum Societatis Iesu, Vol. XXX, MIssiones Orientales, edidit Joseph Wicki Documenta Indica Vol XII (1580-1583), Roma, Monumenta Historica Soc. Iesu, 1972, p.14. Concorde anche l’ Abbè Profillet: Le martyrologe de l’èglise du Japon 1549-1649, par l’abbè Profillet, ancien Aumonier de la Flotte et de l’armèe, Tome III, Les Pieux, Paris, 1897, pp.223-224.