di Paolo Vincenti
Una straordinaria figura, quella di Scipione Mogavero, zelante gesuita di origini ruffanesi, missionario in India e Giappone, vissuto fra Cinquecento e Seicento, ancora poco esplorata dagli studi storici.
Scipione Mogavero nasce a Ruffano nel 1551, come attestano alcune fonti[1], oppure nel 1554, come attestano altre[2]. Tutte le fonti concordano invece sul luogo di nascita, ovvero Ruffano, in provincia di Lecce, che a questo illustre concittadino ha intitolato due strade. Nel 1578, entra nella Compagnia di Gesù, a Napoli, e qui cambia il suo nome, da Scipione in Francesco, come riferisce Francesco Schinosi S.I.[3] Da Napoli si sposta a Roma e quindi nel 1581 si trasferisce a Lisbona, in Portogallo, dove continua i suoi studi di filosofia e teologia.[4] Fra i suoi compagni di studi, fino a Lisbona, Padre Marco Ferraro, proveniente da una nobile famiglia di Catanzaro, il quale seguì Mogavero anche nel viaggio in Giappone.[5] Nel 1583, quando aveva 28 anni, Mogavero intraprende il viaggio per l’India. Più esattamente, l’8 aprile del 1583 dal porto di Lisbona partono cinque navi alla volta di Goa. Vi sono molti membri della Compagnia di Gesù. Mogavero si imbarca sulla nave San Francisco insieme ad altri sei confratelli. Con lui ci sono anche Padre Silvestro Pacifico, originario di Bari, e Fulvio De Gregorio, da Perugia. Il viaggio, durato cinque mesi e mezzo, viene descritto da Padre De Gregorio in una lettera che invia da Goa il 3 dicembre 1583 a Padre Ioanni Pescatore.[6] Ma facciamo un passo indietro per conoscere meglio la formazione di Scipione Mogavero e l’ambiente in cui nacque. Molto probabile che provenisse da una famiglia patrizia, se è vero che nella prima chiesa parrocchiale del paese, poi soppiantata dalla nuova realizzata nel 1712, venne edificata una cappella intitolata a “Santa Maria del Carmine et Anime Purganti” proprio dal “quondam Pietro Mogavero”, nella seconda metà del Seicento, e alla sommità dell’altare campeggia lo stemma nobiliare della famiglia, come riferiscono gli studiosi de Bernart e Cazzato.[7]