Forse oggi noi pensiamo di avere conoscenza di tutto quello che si può conoscere, di ogni condizione che riguardi noi stessi, gli altri, le cose infinite e quelle infinite, le cose del principio e quelle della fine.
Però, solo per esempio, Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra, dice che noi conosciamo solo il cinque per cento dell’universo. Il novantacinque per cento è un punto interrogativo. Pensiamo che abbia avuto origine da una grande esplosione iniziale, il Big Bang, ma non ne conosciamo i dettagli.
Niente più che il cinque per cento. Per arrivare a questa percentuale abbiamo dovuto impegnare tutto il tempo che va dall’esistenza di un essere umano in un posto chiamato Giardino dell’Eden al momento in cui si scrive questo articolo, al momento in cui si legge, per cui ci si deve anche domandare quanto altro tempo sarà necessario ancora per rivelare il novantacinque per cento che manca.
Siamo vissuti, viviamo costantemente nell’illusione della conoscenza. Però lo facciamo senza arroganza, probabilmente; lo facciamo con la consapevolezza che quell’illusione in fondo possa essere una sorta di consolazione, un modo per dirsi che più di quanto si è fatto non si poteva fare, che gli errori erano inevitabili, che addirittura si sono rivelati utili a comprendere quello che si è compreso.
Ci fa buon gioco dirci che quello che conosciamo è tutto quello che c’è da conoscere, che il nostro pensiero è arrivato ad una soglia che non si può superare, che gli altri, coloro che verranno dopo non potranno fare altro che muoversi in un andirivieni su quella stessa soglia.
Diciamo così a noi stessi, ogni giorno; ma ogni giorno sfidiamo con tutta l’energia che ci ritroviamo le nostre conoscenze, cerchiamo soluzioni diverse, strumenti più potenti, perfezioni, nuovi mondi, nuove formule che sappiano darci una migliore esistenza, una più dignitosa sopravvivenza.
Ogni giorno mettiamo in crisi la nostra illusione di conoscenza.
Così viviamo in una stupenda contraddizione, in una affascinante coesistenza di certezza e incertezza, di convincimenti e di dubbi, coinvolti da un sentimento che ci fa pensare di conoscere già tutto e una ragione che ci rivela una percentuale minima di conoscenza.
Forse l’elemento più affascinante del nostro umanissimo e meravigliosamente imperfetto metodo di ricerca è proprio la combinazione di ragione e sentimento. E’ questa combinazione che ci ha consentito ogni scoperta, che ci consentirà di scoprire qualche altra scaglia dell’immenso, e forse anche dell’infinito, insondabile, mistero.
Ragione e sentimento significano semplicemente umanità dell’essere; significano passione, entusiasmo, delusione, emozione, suggestione, paura dell’ignoto e richiamo irresistibile di quello stesso ignoto, calcolo scrupoloso e fantasia sbrigliata, distacco nei confronti delle cose e dei fenomeni e stupore per quelle stesse cose, per quegli stessi fenomeni.
Forse l’illusione di conoscere è sostanzialmente l’illusione della possibilità di conoscere, di decifrare i codici del mistero nella consapevolezza che quei codici si compongono di innumerabili varianti, che la decifrazione resterà sempre incompleta e incompiuta perché si presenteranno sempre varianti ulteriori, che muteranno le forme e le manifestazioni, i movimenti degli elementi che vediamo e di quelli che non vediamo.
Certo, ogni volta che scopriamo qualcosa pensiamo di aver raggiunto la verità incontrovertibile, assoluta, quale che sia la sfera del sapere. Si tratta di un pensiero proveniente dal sentimento, che un poco ci esalta e un po’ ci fa paura.
Poi, l’istante successivo ci lasciamo sorprendere ancora dal pensiero proveniente dalla ragione che quella scoperta è assolutamente provvisoria, precaria, transitoria.
Così lanciamo ancora la sfida all’incompreso, alla sproporzione fra quello che sappiamo e quello che non sappiamo, alla dismisura fra le possibilità dell’umano e la sconfinatezzadel sovrumano.
L’istante successivo ricominciamo la ricerca del senso nascosto nella metamorfosi degli esseri e delle cose, nell’ombra che riproduce i contorni dei corpi a volte in modo preciso, altre volte in modo deformato.
Viviamo in una oscillazione fra la sapienza della scienza e la coscienza del limite, protesi in una incessante investigazione con la convinzione che esisterà sempre qualcosa di irraggiungibile, di inesprimibile, che la verità si raggiunge – se si raggiunge- attraverso rigorosi processi razionali ma che a volte può anche essere l’esito di una rivelazione improvvisa, un’intuizione inaspettata, uno scarto dalla logica, un sogno ad occhi aperti, una imprevedibile apparizione di significati che prima di quell’istante non si sono neppure immaginati.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 14 luglio 2019]