Di mestiere faccio il linguista 3. I vocabolari dell’uso

In Italia abbiamo cinque o sei ottimi vocabolari dell’uso o generali, di solito pubblicati in un unico volume di grandi dimensioni, anche per garantirne la maneggevolezza. I dizionari dell’uso comprendono le voci (in media all’incirca 90.000-130.000 lemmi) con cui un parlante potenzialmente può entrare in contatto, in modo passivo (cioè ascoltando o leggendo testi di altri) o attivo (parlando o scrivendo lui stesso). Nel corso della propria vita nessun individuo entrerà effettivamente in contatto (passivo o attivo) con tale enorme massa di parole, normalmente ne conosciamo molte di meno e ancor meno ne usiamo. È certo però che se conosciamo un numero ampio di parole, se le usiamo correttamente e con proprietà, sapremo esprimere le nostre ragioni e sapremo far valere i nostri diritti, saremo cittadini più consapevoli e meno esposti agli inganni, nella vita pubblica e nel privato. «Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali». Questo dichiaravano eloquentemente gli alunni della scuola 725, fondata nel 1968 da don Roberto Sardelli, nella baraccopoli romana della Borgata Acquedotto Felice (l’aggettivo non è un refuso, quell’acquedotto si chiama davvero Felice!); circola in rete e si può ammirare il documentario Non tacere (2007), che racconta le vicende straordinarie di quella scuola. Lo stesso, sostanzialmente, avevano scritto prima i ragazzi della Scuola di Barbiana in Lettera a una professoressa, libro del 1967, resoconto dell’esperienza didattica sperimentata da don Lorenzo Milani in una sperduta località del contado fiorentino. Libro quest’ultimo molto citato e diversamente valutato, anche in tempi recenti. La cui carica innovativa resta in ogni caso innegabile, a prescindere dalle posizioni politiche e dalle fedi religiose di chi condivide quella Lettera e di chi la critica. Nulla di simile riesco oggi a vedere da nessuna parte, pur se nelle circolari ministeriali le parole “innovazione” e “sperimentazione” ricorrono di continuo. Quasi sempre parole senza idee.

Torniamo al punto da cui siamo partiti. Lo scopo principale dei dizionari dell’uso non è la selezione delle parole secondo criteri puristici e valutativi, ma la completezza della documentazione: viene preso in considerazione il lessico di tutti i settori della vita e di tutti i livelli d’uso, comprese le voci gergali e volgari e altre parole “delicate” (tabù, lessico erotico-sessuale, violenza). Dato che quasi tutti i dizionari dell’uso vengono aggiornati regolarmente, essi riflettono anche le tendenze più recenti dello sviluppo lessicale. Che riflettono i fenomeni sociali. A volte le forme presenti nella lingua hanno significati più o meno identici, ma possono rivelare presupposti ideologici diversi, anche a livello non manifesto o inconscio.

La locuzione sostantivata femminile invariabile baby gang, composta dalla voce inglese baby ‘bambino’ e gang ‘banda di malviventi’, è attestata nella nostra lingua a partire dal 1990. Consulto due vocabolari di recente o recentissima stampa. Secondo lo Zingarelli (edizione 2019) indica una ‘banda di giovani teppisti dediti ad azioni di microcriminalità’; secondo il Vocabolario Treccani dell’Enciclopedia Italiana (edizione 2017) designa una ‘banda di giovani o giovanissimi, specialmente dedita a piccole forme di molestia o di angheria di loro coetanei’. Comune nelle due fonti è il dato che riguarda l’età dei componenti la banda: giovani in Zingarelli, giovani o giovanissimi nel Vocabolario Treccani; diversa la qualifica delle azioni: «teppisti» che si dedicano a «criminalità» (micro– è primo elemento di parole composte, significa ‘piccolo’) in Zingarelli, «piccole forme di molestia o di angheria» per giunta indirizzate solo a «coetanei» nella formulazione del Vocabolario Treccani che, forse involontariamente, è intrisa di sentimenti a mio parere eccessivi di tolleranza.

Con l’aiuto della rete, cerco articoli di giornali che documentano episodi in cui agiscono baby gang (il nostro giornale ne parla spesso, anche recentemente; abbiamo la violenza in casa). Tolgo gli elementi identificativi, non mi interessano i nomi, mi interessano le azioni.

Sito https://bari.repubblica.it/cronaca/: «… smascherata una baby gang, accusata di essere responsabile di una serie di atti vandalici commessi nella sede dell’Associazione italiana persone down […]. Sono stati denunciati alla Procura per i minorenni […] due 17enni e un 16enne […], per danneggiamento aggravato e consumato in concorso» [14 maggio 2019].

Sito https://www.ilmessaggero.it/: «… picchiato a morte dalla baby gang. Inquirenti: «Ragazzi normali, violenti per noia». Violenti per gioco o per noia. Avevano preso di mira un pensionato che aveva problemi psichici, viveva da solo, appariva indifeso, succube, e non reagiva alle provocazioni. Per loro era diventato uno zimbello da deridere» [19 maggio 2019].

https://www.informazione.it/: «baby gang rompe una gamba a un coetaneo per rubargli due euro e il cellulare. Hanno picchiato un ragazzo di 20 anni con una spranga di ferro per rubargli il cellulare e due euro. Non sono riusciti a portargli via lo smartphone  ma gli hanno fratturato un gamba e hanno continuato a picchiarlo anche quando era ormai a terra nel disperato tentativo di difendersi, procurandogli anche un trauma cranico» [8 giugno 2019].

La violenza insensata e irridente che abbiamo conosciuto attraverso Alex di Arancia meccanica è divenuta realtà. Qualcuno potrebbe definire le imprese delinquenziali di alcuni adolescenti dei nostri giorni, che agiscono vigliaccamente in gruppo accanendosi contro singoli individui deboli e indifesi, «piccole forme di molestia o di angheria»? E se ne vantano, filmando le proprie gesta e diffondendole in rete. Il fenomeno, in crescita, giustamente attrae l’attenzione di giuristi, psicologi, educatori. Anche il linguista può fare la sua parte. Mi rivolgo per questo in primo luogo a chi opera nel mondo dell’informazione, giornalisti e conduttori televisivi. Non chiamiamoli più «baby gang», edulcorando con il ricorso all’inglese una realtà aberrante. Chiamiamoli «adolescenti criminali», in omaggio alla lingua e ai fatti. Senza tolleranza e senza opportunismi. La coscienza collettiva ne guadagnerà. E combatteremo la deriva, della lingua e della società.

[Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 14 luglio 2019]

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