Un giorno la gattina, inseguendo una lucertola, scivolò su una pietra resa viscida dall’acqua e cadde nel fiume. In un attimo si ritrovò al centro del corso d’acqua. Istintivamente cercò di riguadagnare la riva, ma la corrente in quel punto era molto forte e per quanto si sforzasse di nuotare non riusciva ad uscire dal fiume che impetuosamente la spingeva verso le rapide.
Non era mai stata in acqua. Terrorizzata da quella nuova terribile situazione, la gattina miagolava penosamente, emettendo dei versi che somigliavano al pianto di un neonato. Le forze stavano ormai per abbandonarla, quando echeggiarono forti due fischi e una serie di trilli acutissimi, vagamente simili ai nitriti di un cavallo.
In un battibaleno il nibbio piombò sulla gattina, la artigliò saldamente ma con delicatezza e con un poderoso colpo d’ali la trasse fuori dall’acqua.
La gattina, posata sull’erba a ridosso del bosco, tremava come una canna. Si era a dicembre inoltrato e la temperatura era alquanto rigida.
Allora avvenne una cosa veramente singolare. Il nibbio aprì le sue lunghe ali e avvolse la gattina completamente. La tenne così finché non smise di tremare.
Asciugata e riscaldata, la gattina iniziò a fare le fusa a mo’ di ringraziamento. Il nibbio le girava intorno saltellando e strusciandola di tanto in tanto con il dorso del becco robusto. Poi compiva dei piccoli voli veloci che gli permettevano di mettere in mostra forza e velocità. Quindi le tornava accanto. La gattina ricambiava leccandogli il collo.
Nei giorni seguenti il falco tornò regolarmente a trovare la gattina e il rituale si ripeté ogni volta con le stesse modalità. Il nibbio, inoltre, non mancava mai di portarle qualche piccola preda. La gattina mostrava di gradire le attenzioni del falco ed aumentava fusa e leccamenti. Che fossero innamorati? Sembrava proprio così.
La storia andò avanti per diversi mesi. Poi, in un radioso giorno di aprile, la sventura inattesa. Colpito a morte da un cacciatore, il falco andò a cadere al limite del bosco.
La gattina lo raggiunse immediatamente e si mise a leccargli le ferite, miagolando di dolore. Il nibbio aprì gli occhi, guardò la sua gattina, emise un ultimo trillo e spirò.
Già si sentivano i latrati dei cani da riporto che cercavano la preda. La gattina sapeva che l’avrebbero preso e l’avrebbero portato al cacciatore. Aveva assistito ad una scena simile con delle quaglie proprio la settimana prima.
Vi era lì nei pressi un enorme fittissimo roveto. La gattina afferrò per il collo il suo nibbio e, raggiunto rapidamente il roveto, qualche attimo prima che arrivassero i cani, vi si buttò dentro. I cani abbaiarono furiosamente intorno al roveto per un bel po’; poi richiamati dai cacciatori, abbandonarono la preda.
La gattina, sanguinante e piena di spine rimase a miagolare accanto al suo bel nibbio giorno e notte, finché non morì anche lei.
Probabilmente non ebbe la forza per uscire da quell’orrendo coacervo di spine; ma il vecchio che mi raccontò questa storia affermava con sicurezza che la gattina innamorata preferì lasciarsi morire piuttosto che vivere senza il suo nibbio.
[“Il Galatino” a. LII n. 13 del 12 luglio 2019, p. 3]