Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XVI

di Gianluca Virgilio

Il nudista della Rambla. Barcellona è una città innaturale. Per le strade circolano migliaia e migliaia di giovani senz’altra etichetta che quella di essere “giovani”, sicché si può dire che Barcellona è un grande contenitore di giovani; una massa insignificante e senza prospettiva, incapace di alcuna novità, capace solo di esibire se stessa. A sera, sulla Rambla, dalle parti del monumento a Cristoforo Colombo, all’improvviso qualcosa attiva l’attenzione dei passanti: un giovane di vent’anni avanza sbraitando nel centro della Rambla, completamente nudo, creando intorno a sé il vuoto di uno spazio scenico intorno al quale vanno accalcandosi i curiosi che si affrettano a scattare foto-ricordo dell’insolito evento. Una goliardata, una pazzia, un’esibizione provocata dall’eccesso di alcool o dalla droga. La visione del giovane che esibiva la sua nudità mi è sembrato che riassumesse bene la condizione dei giovani convenuti a Barcellona da tutto il mondo occidentale per il loro rito di massa, consistente nel ritrovarsi insieme col fine nemmeno tanto nascosto di mettersi in scena, di offrirsi nella loro nudità al miglior offerente, come carne da macello del consumismo moderno.

Un vigilante in tenuta verde gli ha ordinato di rivestirsi e il giovane nudista, docile come un agnellino, si è rimesso le mutande.

Il nudista di Barcellona mi ha riportato alla mente un episodio della mia giovinezza, accaduto, dunque, circa quarant’anni fa. La scena è la strada antistante la spiaggia di Lido Conchiglie, in un mattino d’estate. Io e i miei amici avevamo conosciuto alcune ragazze del Nord che erano lì in vacanza e con loro andavamo a fare il bagno. Non so per quale assurda scommessa – ma certo si parlava di femminismo e di emancipazione delle donne –  una di loro si tolse la maglietta rimanendo a seno nudo in mezzo alla gente stupefatta. Aveva vinto la scommessa, dimostrando il suo coraggio e la sua emancipazione, tanto che noi, imbarazzatissimi, le chiedemmo di rimettersela subito. Ora, non discuto su chi di noi era davvero emancipato e chi no, mi interrogo invece sulla differenza tra il gesto della mia amica e quello del nudista della Rambla. La mia amica si era denudata per affermare un principio ed era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali, noi sapevamo che il suo gesto era il culmine di un ragionamento, un’affermazione di superiorità psicologica rispetto a noi maschi provinciali, l’attestazione della sua libertà di donna. Il nudista della Rambla era invece del tutto strafatto, di sicuro aveva bevuto o fumato, e si era denudato per esibirsi, per esporsi volontariamente alle foto dei turisti, cui altro non aveva da offrire che il suo nudo corpo. Anche questa, si dirà, è una affermazione di libertà, ma del tutto residuale, oltre la quale vi è solo la nudità cadaverica, non certo l’affermazione di un principio che si ritiene importante per la nostra vita.

Il vigilante, come ho detto, non ha avuto difficoltà a fargli infilare le mutande, mentre sembrava dirgli: “Ok, ti sei esibito, tutti hanno visto il tuo corpo nudo, adesso però rivestiti e va’ per la tua strada”, che era poi la reazione tutto sommato permissiva degli spettatori; invece, la mia amica di Lido Conchiglie suscitò ben altre reazioni: da quella di noi amici: “Caspita, che coraggio!” a quella dei passanti: “Giarda un po’ quella sgualdrina…”.

Ecco, io penso che in questi quarant’anni ai giovani sia accaduto proprio questo: hanno perso la voglia di dimostrare qualcosa ed è rimasto loro solo il nudo corpo insignificante.

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1 risposta a Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XVI

  1. Gamet scrive:

    Bonjour Gianluca !
    Parmi tes réflexions qui retiennent en général mon attention, je m’attarde plus particulièrement sur “L’ozio studioso”.
    Le début de ta citation de Fumaroli m’a d’abord semblé confirmer l’image positive que je gardais de cet auteur. J’ajoute celle-ci extraite de la fin de son livre, qui correspond à l’idée que j’avais de lui, celle d’un intellectuel rigoureux qui distingue la culture authentique d’un simple vernis culturel qui fait illusion en société :
    «Concerts, théâtre, expositions, spectacles, fêtes, visites guidées, n’ont rien en soi que de louable. Mais présentés comme le fin du fin de la «Culture», assortis d’un label officiel qui en fait autant d’actes civiques, ils deviennent, comme la messe du dimanche, des distractions «comme il faut», qui ne répondent à aucune nécessité intérieure et qui divertissent seulement du courage d’être soi-même.»

    A vrai dire, jusqu’à la lecture de ton Zibaldone, je me souvenais surtout qu’en son temps Fumaroli, comme d’autres intellectuels exigeants, avait eu le mérite d’agiter des questions qui me concernaient en tant qu’enseignante. Après 68 et la contestation étudiante, à tous les niveaux, on débattait beaucoup des méthodes et des contenus de l’enseignement. “Du passé faisons table rase”, slogan de l’époque ! Même chez les profs de lettres, il était de bon ton de s’être ennuyé en classe, de n’avoir lu les auteurs anciens que pour réussir les examens. Mais moi qui me nourrissais d’eux avec bonheur, je n’allais pas jeter aux oubliettes Montaigne, Racine, Molière, tout le XVIII et le XIX, Proust etc. etc. sous prétexte que tout cela c’était de la culture “bourgeoise”, que c’était trop difficile à lire, inaccessible aux classes populaires et je ne sais quoi encore ; au contraire, je ne voulais surtout pas refuser à mes élèves une chance de pouvoir y accéder ! Et où l’auraient-ils eue, sinon comme moi grâce à l’école ?

    Je ne rappelle ce contexte que pour expliquer mon préjugé favorable à l’égard de Fumaroli, dont je connaissais la sensibilité littéraire pour avoir suivi ses cours sur le dix-septième siècle français en 1967-68 à la faculté de Lille, et qui par ailleurs ne me semblait pas suspect de snobisme ni d’idolâtrie !

    Mais affirmer avec une telle bonne conscience que l’héritage intellectuel des Anciens explique la puissance industrielle et économique occidentale, et justifie l’exploitation du monde, c’est parfaitement ridicule et odieux.
    Donc, Gianluca, merci d’avoir dénoncé ce que Vico nommait la “boria dei dotti”. Je te cite le sociologue Pierre Bourdieu, qui distingue plusieurs formes de racisme dont le “racisme de l’intelligence”.
    “Tout racisme est un essentialisme et le racisme d’intelligence est la forme de sociodicée caractéristique d’une classe dominante dont le pouvoir repose en partie sur la possession de titres qui, comme les titres scolaires, sont censés être des garanties d’intelligence et qui ont pris la place, dans beaucoup de sociétés, et pour l’accès même aux positions de pouvoir économique, des titres anciens comme les titres de propriété et les titres de noblesse.” (Extraits d’Interventions 1961-2001, Agone, Marseille, 2002, p.177).
    Fumaroli en est un exemple. Tu soulignes l’aspect paradoxal de sa pensée dans ta question finale. Ce sont des pans entiers de la connaissance sur lesquels il a omis de réfléchir. S’il n’était pas si âgé maintenant, il faudrait le renvoyer à ses chères études !!
    Bien amicalement. Annie Gamet

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