di Antonio Errico
C’è stata una sera in cui è accaduto qualcosa che mai era accaduto dalla volta in cui un uomo alzò gli occhi per guardare il cielo.
E’ accaduto qualcosa che aveva le apparenze del prodigioso, dell’incredibile, del magico. Era l’epifania di un’aspirazione ancestrale. Era il “monstrum” seducente che si manifestava.
Quella sera cambiò per sempre la nostra percezione del limite e dell’illimitato, del lontano e del vicino, del raggiungibile e dell’irraggiungibile, del pensabile e dell’impensabile, del fantastico e del reale.
Quella sera cambiò per sempre la nostra immaginazione del cielo, il nostro sentimento nei confronti dell’universo. Il cielo si fece prossimo, vicino. Da quella sera non fu più la rappresentazione della irrimediabile lontananza, la metafora dell’impossibilità umana di oltrepassare confini già segnati, frontiere definite. Quella sera accadde la frattura dell’associazione semantica fra le parole cielo e impossibilità.
Quella sera di cinquant’anni fa, il venti luglio del Sessantanove, si verificò definitivamente il mutamento dei modi in cui era stato elaborato il nostro pensiero della Luna, del cielo.
Accadde quando un uomo che si chiamava Neil Armstrong posò per la prima volta il piede sulla Luna.