A questo punto, la conclusione sarebbe, o sembrerebbe, abbastanza facile: il tempo che attraversiamo ha perduto la memoria perché durante l’attraversamento noi abbiamo perduto l’interesse o il desiderio o il bisogno di raccontare in una condizione di prossimità. Forse abbiamo creduto che qualcosa di diverso da noi, uno strumento diverso dalla nostra voce, dalla nostra scrittura, dalla nostra parola, potesse farlo al nostro posto, e abbiamo rinunciato a raccontare, ce ne siamo rimasti in silenzio. Non siamo soli, durante l’attraversamento. Abbiamo sempre qualcuno davanti a noi, accanto, dietro di noi, ma facciamo tutti silenzio. Davanti vanno quelli che hanno cominciato il viaggio prima di noi, e restano in silenzio. Accanto ci sono coloro che hanno cominciato il viaggio insieme con noi, ma restano in silenzio loro, restiamo in silenzio noi; dietro vengono quelli che hanno cominciato il viaggio dopo, ma non fanno domande, non sperano risposte.
Nessuno racconta più. Dopo la scomparsa delle grandi narrazioni, si è verificata la scomparsa anche delle piccole narrazioni: di quelle quotidiane, essenziali, per frammenti. Aveva già visto e compreso tutto Walter Benjamin, in quello straordinario saggio sul narratore contenuto in quello straordinario libro che è “Angelus Novus”. L’arte del narrare si avvia al tramonto, diceva. Diceva che capita sempre più di rado d’incontrare persone che sappiano raccontare. E’ come se fossimo privati di una facoltà che sembrava inalienabile, la più certa e sicura di tutte: quella di scambiare esperienze.
Allora la conclusione è facile. La memoria è scomparsa perché è scomparsa la narrazione.
Però potrebbe venire il sospetto che la narrazione non sia scomparsa, che invece sia mutata, e che di conseguenza sia mutata la memoria trasmessa attraverso la narrazione.
Probabilmente si racconta ancora perché è impossibile non raccontare. Ma si racconta in maniera diversa, con forme diverse, con linguaggi diversi. Per cui diversa risulta la costruzione della memoria e la sua rappresentazione.
Con molta probabilità una funzione determinante nel processo di mutazione della narrazione e della memoria, viene assunta dalla tecnologia. Perché la tecnologia ha cambiato e continua a cambiare in modo vertiginoso le forme della narrazione. Fino ad un certo punto, il racconto si è realizzato esclusivamente attraverso la voce e la scrittura. Poi la tecnologia di massa ha proposto nuove forme di racconto, più rapide, sintetizzate, essenzializzate all’estremo. Forse si tratta di forme che hanno coerenza con il tempo e dunque frammentarie, discontinue, disarticolate. In fondo la narrazione appartiene al tempo, è parte del tempo, lo rappresenta, si fa traduzione dell’esperienza di vivere il tempo, e il tempo presente ci consente soltanto esperienze frammentarie, discontinue, disarticolate. Sono esperienze continuamente interrotte da altre, costantemente distratte. Così anche all’interno di un racconto si verificano le fratture.
La memoria di questo tempo si riguarda allo specchio della narrazione, dunque, e come essa si ritrova frammentaria, discontinua, disarticolata. Priva di sequenza logiche, cronologiche. Disorientata perché non può rintracciare il punto da cui comincia, non è in grado di riconoscere le direzioni che ha seguito, non può ripercorrere le strade che ha percorso.
Allora, forse la memoria non è scomparsa, non è scomparsa la narrazione. Dalle bisacce che ci portiamo dietro nel corso del cammino, tiriamo fuori uno strumento con il quale raccontiamo, attraverso frammenti di immagini e parole, com’è il paesaggio che si apre intorno, forse anche che cosa stiamo pensando in quel momento, forse anche l’emozione che stiamo provando. Lo raccontiamo così, con una modalità che ha abolito i tempi di mediazione, che ha modificato le strutture del racconto. Lo raccontiamo a quelli che camminano davanti a noi e a quelli che ci camminano accanto, che vengono dietro.
Lontanissimi anche nella vicinanza. Senza prossimità, senza i significati che vengono portati da una pausa, uno sguardo, un sospiro che provocano l’attesa di ulteriore racconto.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 30 Giugno 2019]