Qualche elemento di storia della xilografia

Secoli XV e XVI. Il libro xilografico conteneva pagine con illustrazioni e/o scritte, entrambe risultato d’incisione, a volte le illustrazioni accompagnavano un manoscritto. Si formano botteghe di intagliatori a Firenze e a Venezia, dove Ugo da Carpi perfeziona il chiaroscuro con la sovrapposizione di più legni. Nel 1485 Erhard Ratdolt realizza la prima xilografia tricromica, la rappresentazione di un’eclissi lunare che compare in Sphaericum opusculum, pubblicato in Venezia. Per molti anni le xilografie gareggiano con le acqueforti (incisioni indirette su metallo tramite acido). Con l’istituzione da parte di Johann Gensfleish Gutenberg della stampa a caratteri mobili (il più antico frammento delle sue stampe rimastoci è datato tra il 1444 e il 1447), la xilografia si trasforma in un sistema complementare alla stampa da matrice metallica e viene progressivamente soppiantata dal metallo inciso. (Già in Cina, un operaio, Pi-Sheng, aveva inventato ideogrammi mobili di argilla nel 1045, e in Corea era stato impresso un libro dei proverbi di Confucio con caratteri mobili nel 1324.) Verso la fine del secolo XV, soprattutto con l’opera di Albrecht Dürer, che eccelse anche nelle altre tecniche d’incisione, la xilografia mostra sintomi di distacco dal suo ruolo di riproduzione di pitture pre-esistenti.

Fin dagli inizi si pone il problema del colore, dato prima a mano, poi sovrapponendo la stampa di un legno con l’intero disegno a quella di un altro con un fondo di colore. Accostamenti di legni colorati erano stati già utilizzati in Cina e Giappone.

Nella seconda metà del secolo XVI, si accentua un periodo di decadenza per la xilografia in relazione allo sviluppo della stampa dei libri; l’incisione su metallo diventerà tecnica di maggiore utilizzo: molto più semplice e rapido il processo seppure a scapito dell’integrazione di immagine e testo.

Secolo XVII. Alcuni editori continuano a stampare utilizzando vecchi legni incisi. Tra questi si distingue la famiglia modenese Soliani, che mantiene l’attività tipografica dal 1646 al 1870, realizzando la più vasta raccolta al mondo di legni incisi.

Secolo XVIII. Nel 1710, Jean Christoph Le Bon precorre la quadricromia sovrapponendo le stampe su tre legni differenti, inchiostrati con i colori fondamentali. Nel 1740 Gautier Dagoty aggiunge un quarto legno. C’è, però, un altro aspetto rilevante: arriva in Europa l’Agathangelos, stampato a Costantinopoli nel 1709, versione di una storia dell’Armenia risalente alla seconda metà del V secolo, tradotta poi in greco nel VI secolo; il testo reca illustrazioni xilografiche incise su legno di testa. Si tratta di un’innovazione tecnica. Sino ad allora le tavole erano tagliate in parallelo all’asse dei tronchi (legno di filo) e per l’incisione si usavano solo coltellino e sgorbia. Con il legno di testa, tagliato ortogonalmente all’asse del tronco, si usa anche il bulino, ottenendo effetti e precisione nuovi. A Londra, Thomas Bewick acquisisce la nuova tecnica e pubblica nel 1790, a Newcaste, “A General History of Quadrupes”, vincendo il concorso dell’Accademia di Londra per la xilografia e fornendo una nuova prospettiva all’arte xilografica.

Secolo XIX. Il processo di stampa viene meccanizzato all’inizio del secolo. Le litografie (inventate nel secolo precedente) sono utilizzate per stampare tavole fuori testo. La xilografia riprende posto nella stampa del libro, soprattutto in Inghilterra, per i risultati permessi dell’approccio di Bewick. Nell’illustrazione del libro s’impone soprattutto il francese Gustave Doré. Uno dei suoi incisori, Adolphe François Pannemaker, realizza la tecnica del controintaglio nel legno di testa, permettendo una più approfondita ricerca di effetti di luce e colore. Sul finire del secolo, la xilografia si ripropone in veste compiutamente nuova: una forma d’arte non più riproduttiva ma tesa a determinare di per sé valore estetico. L’impulso emerge dall’ambiente inglese: William Morris, con il movimento Arts and Crafts, e Dante Gabriele Rossetti, con i pre-raffaelliti. Nel 1893, Paul Gauguin combina punta, sgorbia e strumenti abrasivi, ottenendo effetti nuovi. Influenza così Edvard Munch, che tende a eliminare particolari ed elementi decorativi, e gli espressionisti tedeschi, in particolare il gruppo Die Brücke. Bordi taglienti ed eliminazione dei dettagli appaiono nelle xilografie coeve di Félix Vallotton, la cui prima xilografia fu il ritratto di Paul Verlaine.  Negli stessi anni, le xilografie di Katsushika Hokusai– le Ukiyoe “immagini del mondo fluttuante” – generano la potente onda del Japonisme in Europa.

Secolo XX. Sono del 1906 le prime xilografie di Henri Matisse. Risentono di influenza espressionista ma sono accompagnate dallo studio delle xilografie di un altro artista giapponese, Utagawa Hiroshige. Del 1902 erano, invece, le prime xilografie di Vassilij Vasil’evič Kandinskij, in cui s’intrecciano elementi figurativi e astratti nella concezione. Nei primi anni 1930 ritorna il legame della xilografia con l’illustrazione del libro, una congiunzione intesa ora per la realizzazione di edizioni raffinate. Stampe manieriste (neo-cinquecentesche) di Adolfo De Carolis accompagnano “La figlia di Iorio” di Gabriele D’Annunzio, dell’editore Treves; così l’editore Zanichelli opta per xilografie nelle illustrazioni delle opere di Giovanni Pascoli. In quegli anni, l’attività degli xilografi è attratta dalle riviste letterarie fiorentine Hermes e Leonardo e dall’Ebe di Chiavari. Nel 1911, Ettore Cozzani e Franco Oliva fondano l’Eroica, rivista che diventa il fulcro del movimento xilografico. Aumentano gli xilografi, specie nelle fila del Modernismo italiano. La tradizione trova nuova linfa tra i futuristi che ne apprezzano l’essenzialità del tratto. Tra essi ricordiamo Fortunato Depero, Leonardo Dudreville, Nicola Galante, Gino Severini, Enrico Prampolini, “scoperto” proprio da “l’Eroica” già nel 1916.

Grosso modo, in Europa, possiamo distinguere in questo periodo tra tradizionalisti, impressionisti e razionalisti, con questi ultimi che considerano la materia il principio informatore dell’opera. Nel 1922, infatti, Antoine Pierre Gallien teorizza come le xilografie debbano far sentire il legno. Dopo la Seconda Guerra Mondiale dagli anni 1950 prevalgono gli ideali informali. Luigi Servolini fonda nel 1955 l’Associazione Nazionale degli Incisori, riprendendo valori ideali del 1400. Lo sviluppo della xilografia è da allora poco organico, in un certo senso. Si può dire che da un lato ci sono coloro che in prevalenza tendono alla decorazione del libro in edizione di pregio, dall’altro artisti che perseguono in maniera primaria la xilografia come arte a sé stante. Nella seconda metà del XX secolo troviamo Mino Maccari, con un tono figurativo espressionista, Luigi Mariano con le xilopitture e il chiaroscuro monocromatico astratto, Luigi Veronesi, con un segno essenzialmente astratto, Aldo Patocchi, con il senso del paesaggio e dell’art nouveau, Franco Rognoni, forse più incline all’illustrazione.

L’attività contemporanea evidenzia la vitalità di questa forma di espressione d’arte. Il tempo suggerirà quali pagine di Storia scrivere.

[“Il Titano. Supplemento economico de “Il Galatino” n. 12 del 25 giugno 2019, p. 15]

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