Altre volte m’era accaduto di pensare a queste presenze lontane, ma soltanto ieri il pensiero da vago e casuale è diventato preciso, in certo modo definito. È accaduto mentre attraversavo, nel pomeriggio, i giardini di Porta Venezia, e ho deciso di fermarmi per qualche minuto su una panchina ombreggiata da un grande cedro per sfogliare il libro che un amico mi aveva dato poco prima in un Caffè. Un pensiero, all’improvviso, prima ancora che leggessi il risvolto della copertina, ha preso forma : quante persone lungo gli anni e lungo i giorni si sono seduti sulla stessa panchina, sostando per poco e pensando, o immaginando, o ricordando! Quei loro pensieri sono davvero del tutto svaniti? Forse avranno vagato nell’aria, con le loro onde, con i loro invisibili corpuscoli, privi di voce, privi di suono, ma con una loro nascosta ragione e necessità, con una loro densità di respiro, e una loro esistenza. Certo, si tratterebbe di un’esistenza diversa dalla materia che conosciamo, dalle cose che definiamo ed elenchiamo e tocchiamo. Qualche traccia del loro passaggio, mi dicevo mentre sostavo sulla panchina, forse ancora fluttua nell’aria, sopra di me, in questo momento. Quanti simulacri abitano il cielo che non riusciamo a scorgere! Tra questi simulacri, mi dicevo tra me, perché proprio i pensieri di quelli che qui, o su altre panchine, hanno sostato, da soli o in compagnia, pensando o colloquiando o baciando altre labbra, dovrebbero perdersi nel nulla? Tra quei pensieri, continuavo a immaginare, ci saranno state raffigurazioni di volti assenti, così come accade a me di pensare in questo momento a lei che è lontana, desiderandola con tale forza che è come se la vedessi qui accanto, mentre parla e con un gesto della mano mi mostra sorridendo quel ramo del cedro che il vento agita piegandolo fino a fargli accarezzare la terra. Forse restano sospesi nell’aria, non consumandosi, tutti questi pensieri, almeno quelli pensati con forza, quelli che sono profondi come il desiderio che li alimenta.
Così pensavo ieri, mentre, seduto sulla panchina nei giardini di porta Venezia, guardavo il cielo sopra la chioma del cedro, il libro ancora semichiuso tra le mani.
Insomma siamo circondati, pensavo, oltre che da un’atmosfera e da una stratosfera, da una sorta – come chiamarla? – da una sorta di noosfera , uno strato d’aria composto da tutti quei pensieri pensati con tale energia, con tale insistenza affettiva e inventiva che hanno acquistato nel tempo una vita propria. E fluttuano ancora nell’aria, privi di suono, privi di forma, ma veri e pulsanti di una loro intangibile vita. Per la stessa ragione ci deve essere anche, tutt’intorno a noi, una specie di tanatosfera, cioè uno strato d’aria composto dalle immagini di quelli che più non ci sono, dalle innumerevoli assenze di persone conosciute e sottratte alla vita, di amici non più viventi, ma che ancora fluttuano in alto con le loro immagini, con i loro volti, con i loro pensieri di un tempo. Ci avvolge tutti, questo strato d’aria fatto di pensieri, di idee, di immagini. E penetra, ogni tanto, nei nostri stessi pensieri. Siamo fatti anche di quel che è stato, di quel che altri hanno vissuto e pensato. Di quel che altri vivono e pensano.
In mezzo, dunque, alle sostanze chimiche che compongono l’aria, in mezzo all’ozono degli strati d’aria inferiori, tra le molecole di monossido di carbonio, tra le polveri sottili, in mezzo all’ossido di azoto e ad altri composti, in mezzo a tutti questi elementi nocivi fluttuano i pensieri già stati, e i pensieri in corso. E volano anche le figure senza figura di quelli che hanno già vissuto. Meriterebbero, tutti loro, un cielo più puro nel quale respirare e sostare e fluttuare. Un’aria più pulita dove vivere la loro nuova, inudibile e invisibile vita. Che è parte della nostra vita.
Ora che ho scritto queste tre paginette di diario, in questa stanza che si affaccia sul Naviglio pavese, all’altezza del secondo ponte, un altro pensiero mi si presenta, e ha la forma del dubbio. Tutto questo mio vaneggiare sugli invisibili simulacri che vagano tra noi, non è forse soltanto un tentativo di rendere a me stesso più sopportabile la pessima qualità dell’aria che incombe su questa città offuscandone la bellezza? Basteranno queste considerazioni a farmi desistere dal proposito di chiedere un trasferimento in una più salubre cittadina di mare?