di Antonio Prete
Nessun suono giunge da loro. Nessuna immagine li segnala. Invisibili e inudibili abitano l’aria. Fluttuano in essa come onde d’acqua prive di luce, prive di forma. Sul loro silenzio si addensa tutto il rumore che sale dalle strade. Per questo nessuno percepisce la loro presenza. Sono lì, affollati, innumerevoli, eppure discreti nel custodire la loro natura. Ostinati nel difendere la loro assenza di figura. Più leggeri del soffio di vento, più vuoti della bolla di sapone che si allontana dalla bocca del bambino sull’angolo della strada. Nessuno leva gli occhi in alto per tentare di scorgerli. Nessuno ne descrive le gradazioni di intensità e di colore e neppure annota i legami che li attraggono o le differenze che li allontanano. È una chimica, la loro, senza strutture molecolari, senza combinazione di elementi. Eppure viva, di una particolare vita. Non hanno sostanza, ma ci osservano dall’alto e ci accompagnano nei nostri movimenti. Planano fino ad atterrare sui marciapiedi e camminare al nostro fianco. E si posano, qualche volta, nel buio dei nostri pensieri.
Ma vado con ordine.
È da tre anni che vivo in questa città. Di quel che vedo dalla finestra della mia stanza sul Naviglio pavese, all’angolo del secondo ponte, ho descritto in questo diario ogni cosa. Così delle strade che percorro al mattino per raggiungere il quartiere di Brera e la scuola dove insegno. Ma non ho ancora detto nulla di loro. Forse perché da loro non giunge nessun suono, nessuna voce. Persino dall’aereo che disegna in alto la sua scia biancastra, giunge un suono, un suono sordo e lontano, perso tra i suoni dei passanti che corrono verso la bocca del metrò o sostano dinanzi alle vetrine o aspettano il tram sotto la pensilina. E se il cielo s’annera e le nuvole perdono la loro forma, arrivano sulla strada i borbottii che annunciano i tuoni, le loro cupe cascate. Se poi cammino lungo i marciapiedi di corso Buenos Aires o di un viale qualsiasi del centro o della circonvallazione interna, uno sciame di voci si mescola al rumore delle auto che ripartono dai semafori accelerando. La città è un oceano di suoni. Da loro invece, dalla loro persistente e assidua presenza, non giunge nessun suono. Nessun segnale. Mai un baluginio di luce, o un trascolorare di ali. Eppure essi sono lì, di qua dalle nuvole, o in mezzo ad esse, sopra i grattacieli, sopra le aiuole e intorno alle rastrelliere delle biciclette allineate nei cortili dei caseggiati.