Italia pensante 9. Francesco Giancotti e il preludio di Lucrezio

Non posso perdonarmi la mia “impazienza di dividere da me il mio povero sapere su questi due autori, fondato su notizie di seconda o terza mano e sulla frettolosa e superficiale lettura delle traduzioni di frammenti. Bisognava prima studiare le loro opere nella lingua originale, tutte e per intero, successivamente interpretarle e solo alla fine pubblicarne i frutti maturi.

Non posso difendere quelle mie prime pubblicazioni, ma oggi vedo almeno due circostanze attenuanti. Malgrado tutti i loro difetti, i miei scritti ruppero il silenzio su questi due autori, segnalandone la necessità di studiarli. Cosa che feci con serietà, sicché le successive pubblicazioni non meritano più, spero, l’accusa di essere state premature.

La lettura delle opere latine di Giordano Bruno, scritte negli anni 1587-1591, mi ha fatto maturare la convinzione che in esse si deve cercare il suo “campo di arrivo”, mentre le opere italiane, scritte nel periodo anteriore, negli anni 1583-1585, ci mostrano il suo “campo di partenza”, e dal confronto risulta che ci sono due sistemi della filosofia bruniana: il m o n i s m o del dialogo De la causa, principio et Uno (1584) e il p l u r a l i s m o, presente già germinaliter nel dialogo De l’infinito universo et mondi (1584), ma sviluppato e radicalizzato nel poema De innumerabilibus (1591). In altre parole U n u m nel campo di partenza, I n n u m e r a b i l i a nel campo di arrivo.

Scrivendo i d i a l o g h i Bruno prende a modello anzitutto Platone, mentre scrivendo un lungo poema latino in 7.424 essametri prende a modello, senza alcun dubbio, L u c r e z i o (poema in 7.415 essametri).

E’ dunque evidente che per intendere il pluralismo del poema di Bruno bisogna confrontarlo con il pluralismo del poema di Lucrezio. Le mie letture e riletture del De rerum natura in latino con l’aiuto di due traduzioni polacche, prosaica di Adam Krokiewicz e poetica di Edward Szymański, mi permisero di entrare nel mondo di Lucrezio. Ma come potevo risolvere il problema della contraddizione tra l’atomismo ateo del poeta e la sua invocazione proemiale alla Dea Aeneadum genitrix?

Ed ecco che proprio nel momento del bisogno un giovane latinista italiano, Francesco Giancotti, mi venne in aiuto e mi gettò un’ancora di salvataggio: Il preludio di Lucrezio (1959), il libro scritto e pubblicato nel momento giusto, il libro che accolsi come scritto appositamente per me.

L’invocazione alla Dea non è espressione di fede religiosa, di fedeltà alla religione di Roma. Non è simulazione di fede né costruzione di un contesto protettivo. Non ha contenuto teologico. Non è ornamento superfluo che si può togliere via. L’invocazione lucreziana è parte essenziale del suo sistema filosofico. Nelle metafore poetiche si nascondono le categorie centrali dell’atomismo di Lucrezio, in cui, oltre all’ i n f i n i t o v u o t o e agli innumerevoli a t o m i, ci sono anche f o r z e che mettono gli atomi in m o v i m e n t o. Si distinguono due generi: forze c o s t r u t t i v e, che uniscono gli atomi, e forze d i s t r u t t i v e, che separano gli atomi.“Alma Venus” rappresenta le forze costruttive, “Marvors” le distruttive.

Ci sono dunque quattro categorie che spiegano tutti i fenomeni dell’universo. In tal modo, con poche parole, si può riassumere la geniale scoperta di Giancotti, fondamento della sua interpretazione di Lucrezio. Sembra semplice, ma nessuno, prima di lui, l’aveva fatto. Nel mio libro sulla filosofia antica, pubblicato nel 1986, nella bibliografia (pp. 323-345), si possono trovare molte posizioni su Lucrezio, ma solo Giancotti è riuscito a centrare il bersaglio.

Inoltre nessun altro è stato capace di mostrare che le stesse quattro categorie spiegano i fenomeni osservati su tre diversi livelli, c o s m i c o (tutti i fenomeni naturali, tanto i macroscopici quanto i microscopici), s o c i a l e (storia politica dei popoli) e c u l t u r a l e (poesia e filosofia).

Dalla lettura del libro di Giancotti sono passati pressappoco cinquant’anni. In questo periodo ho letto molti libri e saggi su Lucrezio e continuo a pensare che la sua interpretazione sia la migliore. Ho mutuato molti pensieri dagli Italiani (anzitutto da Bruno e Vanini), ma ciò che ho preso da lui appartiene ai regali più preziosi. Importante però non è l’indicazione della “fonte” e la trasformazione del regalo in mia “proprietà”, ma quanto ha influito il pensiero di Giancotti nella mia attività intellettuale.

[“Presenza taurisanese”, a. XXXVII n. 6 – giugno 2019, p. 11]

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