di Walter Nardon
In una pagina dell’autobiografia Esperienza (2000), Martin Amis ricorda che all’uscita del suo primo libro il romanziere Peter Prince gli dedicò una recensione poco benevola nella quale, fra i vari epiteti che gli aveva riservato, parlava di lui come di un «beffeggiatore in calzoni corti». Per quanto il giudizio fosse irrispettoso, non si è poi impegnato molto per smentirlo, anzi, qualcosa di quell’immagine risulta particolarmente appropriato per descrivere un aspetto del suo talento. Sono tornato sulla questione leggendo L’attrito del tempo, la raccolta di saggi e reportage di Amis (1986-2016) pubblicata da Einaudi e tradotta integralmente, mentre il suo precedente libro di saggi, La guerra contro i cliché, nell’edizione italiana era uscito nel 2014 in una veste singolare (una breve antologia di testi tratti da tre libri). Nei titoli che ho citato l’ingegno dell’autore dà prova della sua elasticità: mobile, ironico, con un carattere fra l’intrepido e il temerario che reca in sé, come tratto inconfondibile, qualcosa che somiglia all’espressione di un teppista.
L’Attrito del tempo è diviso in otto sezioni che in parte si ripetono, da quella denominata Twin Peaks – dove le vette gemelle sono i numi tutelari, Nabokov e Bellow – alla politica, dai libri al costume, dallo sport alle sezioni «più personali» dedicate alla scrittura dei romanzi o alle domande dei lettori. In tanta varietà, la letteratura resta l’orizzonte di riferimento.
Amis è un profondo conoscitore di Nabokov, per il quale nutre un condivisibile sentimento di devozione, evidente nei tre scritti a lui dedicati presenti nel libro, così come in altri, raccolti nei volumi precedenti. Prendendo spunto dalla vicenda editoriale de L’originale di Laura (abbozzo di romanzo di Nabokov pubblicato postumo), nell’Attrito del tempo Amis affronta una delle questioni più scabrose: il «problema infernale» ovvero la «ninfolessia», l’inflazione di ninfette presenti in sei libri dello scrittore, che produce delle conseguenze non trascurabili. Dal punto di vista morale, il giudizio sull’«abominazione di Humbert», il patrigno-amante di Lolita, nel romanzo omonimo è inappellabilmente severo, così come la mano di Nabokov è ferma nell’Incantatore o in Cose trasparenti. Tuttavia l’interesse per i traviamenti o le passioni preadolescenziali ritorna più volte, in diverse variazioni: in Ada, o ardore, ad esempio – libro tra i più ambiziosi, ma più incerti di Nabokov – gli amori incontrastati fra la dodicenne Ada e il cugino (e probabile fratellastro) quattordicenne Van Veen si traducono in acrobazie estenuanti.