di Guglielmo Forges Davanzati
L’inizio del semestre italiano della Presidenza della commissione europea coincide con l’annuncio della procedura di infrazione per debito pubblico eccessivo. L’Italia ha il più elevato debito pubblico in rapporto al Pil fra i Paesi dell’Eurozona e soprattutto, come confermato da tutti i dati macroeconomici disponibili su fonti ufficiali, è l’economia che cresce meno nel confronto con gli altri Paesi dell’Eurozona. Dallo scoppio della prima crisi del 2007-2008, con eccezione della Grecia, l’economia italiana è tendenzialmente cresciuta meno della media dell’Eurozona. A ciò va aggiunto un tasso di crescita delle regioni meridionali ulteriormente inferiore a quello medio europeo e sistematicamente inferiore a quello del Nord del Paese. L’aumento del debito pubblico italiano è da imputare al continuo aumento degli interessi che lo Stato italiano paga ai sottoscrittori di titoli di Stato, in aumento rispetto allo scorso anno e superiori alla media europea e, nella prima metà del 2019, anche superiori ai rendimenti dei titoli greci.
I fattori che sono alla base della bassa crescita dell’economia italiana (e del conseguente aumento del debito) sono molteplici, ampiamente discussi in letteratura e non riconducibili al recente passato. Fra questi, un fattore sul quale è scarsa l’attenzione è la ripartizione dell’onere fiscale fra gruppi sociali. La tassazione in Italia è sempre stata molto alta e superiore alla media OCSE (inferiore solo a quella dei Paesi scandinavi) ed è aumentata in modo significativo negli anni della crisi, soprattutto a danno della piccola impresa e del lavoro dipendente. L’incidenza dell’imposizione fiscale sul Pil si attesta, in Italia, intorno al 45% a fronte di una media europea di circa il 30%. Su fonte OCSE, si rileva che la distribuzione dell’onere fiscale in Italia è meno progressiva di quella vigente nei principali Paesi industrializzati, con una notevole incidenza dell’imposizione indiretta (le imposte sui consumi: tipicamente l’IVA). Imposizione regressiva è tale quando, in termini percentuali, i più ricchi pagano meno di quanto pagano i più poveri. Anche al netto della possibilità – per i primi – di allocare le proprie risorse nei c.d. paradisi fiscali; possibilità preclusa ai più poveri. Anche a ragione della minore progressività dell’imposizione fiscale (in violazione, peraltro, dell’articolo 53 della Costituzione), l’Italia sperimenta le maggiori diseguaglianze distributive fra i Paesi OCSE e il Mezzogiorno le sperimenta in misura ancora maggiore.