I grandi professionisti hanno la passione dei dilettanti

Nella definizione di dilettante, il termine che assume il significato più importante è il verbo coltivare, che in qualche modo costituisce una contraddizione rispetto al concetto, in quanto non esiste coltivazione che non pretenda conoscenza, competenza, esperienza. L’assenza di queste tre condizioni, forse anche delle prime due soltanto, comporta inevitabilmente il fallimento della coltivazione. L’esperienza, invece, contempla anche l’errore, a condizione che esso si fondi su conoscenza e competenza.

Nella premessa di un libro di quasi trent’anni fa intitolato Lo specchio greco con il sottotitolo Alle fonti del pensare europeo, Grytzko Mascioni scriveva che il dilettante impara continuamente a imparare. E impara, per esempio, che l’imperversante voga degli “esperti” – nella sua forma più sottilmente aggressiva – non è, come si potrebbe credere, uno dei tanti e sgradevoli frutti della rivoluzione industriale o della controrivoluzione proletaria o dell’era atomica o elettronica, della TV e delle sue innumerevoli tavole rotonde. Tale voga, invece, risale a circa 450 anni prima di Cristo, quando, soprattutto ad Atene, si diffuse la moda dei “sofisti”, intellettuali professionisti, che insegnavano tutto (a pagamento) mentre intorno a loro crollava miseramente la più coraggiosa e avanzata civiltà che si fosse vista.

Allora, se il dilettante è colui che fa le cose per passione, perché le sente necessarie a se stesso e alla sua vita, sarebbe estremamente vantaggioso se ogni professionista nell’esercizio della professione avesse quella passione che ha il dilettante, quella continua tensione ad imparare che sostanzialmente significa scongiurare qualsiasi concessione alla routine.

Siccome lavora per diletto, il dilettante è uno che non dà mai nulla per scontato, che osserva, sperimenta, studia, prova, riprova, senza mai improvvisare. Il dilettante vero non improvvisa mai.

Ma questo tempo richiede professionisti, anche di alto profilo; richiede specialisti che siano in grado di offrire contributi significativi. E’ giusto che sia così. Ma i grandi professionisti, i grandi specialisti, quelli che raggiungono obiettivi determinanti in qualsiasi arte, in qualsiasi scienza, sono quelli che rimangono sempre un po’ dilettanti, che non si abituano al mestiere, che conservano una passione profonda, uno stupore infantile nei confronti di quello che fanno. I grandi professionisti, i grandi specialisti, quelli che riescono ad arrivare dove tutti gli altri non arrivano mai, sono quelli che si portano dietro e dentro un amore per il mestiere, quelli che sentono il mestiere come parte essenziale, insostituibile della propria esistenza. Non sono capaci di pensare di poter fare qualcosa di diverso da quello che fanno.

Forse i grandi professionisti sono sempre anche grandi dilettanti.

Richard Bach, quello che ha scritto Il gabbiano Jonathan, ha detto: uno scrittore professionista è un dilettante che non ha mai smesso di scrivere.

Per esempio: Sylvia Plath lavorava alla reception di un ospedale psichiatrico; Mark Twain guidava un battello a vapore sul Mississippi; Orwell era un ufficiale della polizia imperiale indiana di Burma; Carver faceva il fattorino, Don De Lillo il parcheggiatore; poi Kafka, Svevo, e altri, molti altri, tutti quasi coloro che hanno portato la scrittura a livelli di eccellenza, facevano parte della categoria dei dilettanti che non hanno mai smesso di scrivere.

Sono tanti i dilettanti che anche nella scienza hanno portato progresso e conoscenza.

Ma per essere un vero dilettante, ci vuole un grande mestiere. Per essere un dilettante professionista occorre una grande umiltà. Il dilettante professionista sa perfettamente che un altro conosce tante cose che lui non conosce, per cui è sempre disposto ad imparare, a fare diversamente da come ha fatto, a riconsiderare sempre tutto, a ricominciare tutto daccapo, ad appassionarsi un’altra volta ancora, ad entusiasmarsi un’altra volta ancora. Certo, qualche volta l’entusiasmo del dilettante è un po’ invadente, è un po’ irruente. Ma mai arrogante. E’ un entusiasmo umile, semplice, ingenuo, che si sottomette e ammutolisce davanti alla sapienza dei professionisti.

E’ di quell’entusiasmo dei dilettanti che, probabilmente, hanno bisogno i professionisti, in modo da non considerare mai definitivamente acquisita la loro conoscenza, la loro competenza, in modo da essere sempre disponibili ad accogliere il nuovo che arriva, indipendentemente dal fatto che arrivi da un altro professionista o da un dilettante.

Forse questo tempo che di tanto in tanto confessa l’aspirazione ad un nuovo umanesimo, avrebbe bisogno anche di professionisti sapienti con l’entusiasmo dei dilettanti.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 9 giugno 2019]

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