La creatività al tempo della tecnologia

La contemporaneità, per esempio, non può fare a meno di mettere in relazione il concetto di creatività con le esperienze della tecnologia. Anzi, forse creatività è anche sinonimo di tecnologia, perché una gran parte di esiti creativi sono determinati dagli strumenti. Così i significati tradizionali convivono con significati nuovi, o comunque radicalmente rinnovati.

Ma se si volesse andare oltre, se si volesse considerare che la creatività consiste, sostanzialmente, nella determinazione di forme nuove e nuovi significati, allora ci si dovrebbe domandare se poi il nuovo determinato da una condizione predefinita e non personale sia davvero un’espressione di creatività.

La tecnologia è una condizione predefinita. Certo, le sue applicazioni possono essere anche personali, ma di fatto sono prevalentemente collettive o comunque possono diventare agevolmente collettive.

La Commedia di Dante può essere soltanto un’opera personale, peraltro inimitabile. Come soltanto personale e inimitabile può essere una scultura di Antonio Canova o un’opera di Mozart.

Però anche con la tecnologia si può realizzare qualcosa di personale e inimitabile, per cui anche il qualcosa che si produce con la tecnologia è un prodotto della creatività. Non c’è dubbio.

Allora, probabilmente occorre individuare un criterio che consenta di distinguere quello che è creativo da quello che non lo è, indipendentemente dallo strumento che lo realizza e dal contesto in cui viene realizzato.

Un criterio potrebbe consistere nell’ affidare la decisione a quel giudice imparziale e assoluto che è il tempo. Per cui creativa è l’opera che ha una durata nel tempo. Ma non basta. Occorre integrare il concetto di durata con quello di significatività. Di conseguenza è creativa l’opera che dura nel tempo continuando a riproporre ed a rielaborare costantemente i suoi significati, a provocare costantemente uno stupore: anche lo stupore è significato. Non è sufficiente riuscire a durare, quindi; è necessario che nella durata si riesca a proporre significati agli uomini di un tempo diverso.

Se si accetta un criterio del genere, la prima domanda che viene da farsi immediatamente riguarda la durata che hanno nel tempo le opere prodotte dalla tecnologia.

Indubbiamente ci sono quelle che durano. Per esempio, la tecnologia applicata alla scienza produce opere che per il genere umano sono essenziali, la cui significatività non può essere paragonata con nessuna Cappella Sistina. Sono quelle opere che salvano una vita, quelle che portano acqua dove si muore di sete, l’impasto di un medicamento che fa sfebbrare un bambino.

Poi ci sono opere della tecnologia che non durano niente. Sono le opere della tecnologia di massa. Pensate e prodotte per l’inutile, per il superfluo, per il passatempo. In questo caso, è la tecnologia stessa che non vuole durare, che vuole autodistruggersi, annullarsi, perché il mercato ha le sue leggi, rigorosissime, spietate. Si deve sostituire tutto, rapidamente. Si devono regalare nuovi giochi; si deve distrarre con nuovi passatempi.

La tecnologia di massa non dura, non ripropone e non rielabora i suoi significati, quindi non è creativa.

Non è creativa soprattutto perché non produce pensiero. Le opere della creatività sono fatte apposta per provocare pensiero. Quelle della tecnologia di massa sono fatte apposta per impedire il pensiero, o per appiattirlo.

Siamo avventori di un tempo in cui si fa culturalmente sempre più necessario distinguere, non fare confusione, mettersi al riparo dagli equivoci, dai fraintendimenti.

Se non si distingue si corre il rischio di svilire i concetti, di svuotare di senso le parole.

Creatività è una parola che talvolta può anche significare una tensione all’immortalità. E’ quella parola che esprime l’irripetibilità degli uomini, la loro ansia metafisica, la loro consapevole o inconsapevole illusione di imitare Colui che crea, in assoluto.

Ma la creatività è anche l’espressione con cui una civiltà si rappresenta nel tempo presente e si consegna al tempo futuro. E’ l’eredità che lascia ad un’altra civiltà. Molto spesso la memoria si struttura sulle opere che la creatività ha realizzato, su quelle della scienza, dell’arte, della letteratura. Si diceva su quello che dura nel tempo e che significa, che produce un benessere ed una bellezza, che suscita uno stupore.

Probabilmente dovremmo pensarci, dovremmo considerare se la tecnologia di massa, quella che invade e pervade le nostre esistenze quotidiane produca un benessere, una bellezza, se provochi uno stupore. Se non è questo, allora è soltanto un evento che non fa storia, un trastullo che non lascerà memoria alcuna a nessuno di coloro che verranno domani, domani l’altro.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 26 maggio 2019]

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