Al tempo della spesso pretestuosa complessità del tutto, la semplicità diventa un’arte, che come una qualsiasi arte richiede e pretende sentimento, passione, ricerca, disponibilità anche al sacrificio, tensione verso la verità.
In un libro di quarantaquattro anni fa intitolato Conoscenza oggettiva, Karl Popper scriveva che la ricerca della verità è possibile soltanto se si parla chiaramente e semplicemente, evitando tecnicismi e complicazioni non necessari.
Quindi, nella oscurità, nella complicatezza, nell’astrusità di quello che si dice, si propone, si progetta, si pratica, si realizza, può anche nascondersi la mistificazione, l’imbroglio, la menzogna, oppure l’assenza di significato, la vacuità, il nulla acconciato di falsità, di infondatezza, o di ipocrisia.
Se può essere vero che la semplicità è un fatto naturale, nel tempo della complessità diventa subordinata ad una ricerca: per esempio nel linguaggio, nei comportamenti, nelle relazioni. Forse non c’è nessuna cosa che venga detta con trecento parole che non si possa dire con trenta e perfino con tre. Ogni parola che ecceda questa misura, ha un significato ininfluente oppure può anche rivelarsi una trappola.
Allora il termine semplicità associato al linguaggio, ai comportamenti, alle relazioni, può anche assorbire quello di onestà.
Se la semplicità è un’arte, come ogni altra arte ha bisogno di metodo. Può darsi che i metodi siano molti, innumerevoli anche, ma sicuramente uno si può considerare indispensabile. E’ il metodo dello sfrondamento, dell’eliminazione di qualsiasi elemento che risulti superfluo, ridondante, comunque non essenziale. Si tratta, semplicemente, di chiedersi in che modo si può tradurre semplicemente quello che è già semplice, oppure in che modo si può rendere semplicemente quello che è, o soltanto sembra, complicato.
Poi, è anche vero che la semplicità è rischiosa, può generare fraintendimenti, equivoci, confusioni. La semplicità può anche far pensare che il livello e la consistenza di quello che si dice o che si fa non siano degni di considerazione. Il 31 maggio del 1831, nel suo Zibaldone Giacomo Leopardi annotava: “È curioso a vedere, che gli uomini di molto merito hanno sempre le maniere semplici, e che sempre le maniere semplici sono prese per indizio di poco merito”.
Se questo è vero, e l’esperienza dice che è vero, significa che l’arte della semplicità richiede anche quello stesso coraggio che ogni arte richiede.
E’ il coraggio di navigare controcorrente, di pensare e di fare diversamente, con la consapevolezza che il procedere controcorrente, il pensare e il fare diversamente, possano essere considerati come l’esito di concetti e di pratiche approssimativi, inadeguati, incoerenti con il tempo e la temperie culturale.
Ma si deve correre il rischio. Perché di semplicità si ha un enorme bisogno, nelle cose piccole e anche in quelle grandi, nelle faccende che riguardano e coinvolgono il destino di tutti e di ciascuno e in quelle di ogni giorno.
Nel tempo delle incertezze, delle inquietudini, delle trasformazioni continue e profonde, dei profondissimi dubbi, della molteplicità, della indeterminatezza, dell’ansia, delle trepidazioni, la semplicità è un modo per recuperare e ristabilire il senso essenziale dell’esistenza, per distinguere quello che vale molto da quello che vale poco da quello che vale niente.
Poi, è sulla base di questa semplice operazione di semplicità, da cui si ricava il senso essenziale, che si possono assumere le decisioni che riguardano il futuro. Perché le decisioni che riguardano il futuro devono necessariamente tener conto dell’essenziale e del profondo, che sono sempre semplici perché appartengono alla natura, che come si sa fa cose straordinariamente complesse manifestandole in modo straordinariamente semplice. Ecco. Forse la cultura, nelle sue diverse espressioni, dovrebbe imparare ad imitare la natura, la sua arte di rendere semplici da comprendere anche le cose più complicate del mondo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 20 maggio 2019]