di Antonio Errico
Così, semplicemente. Forse non esiste più nulla che possa dirsi semplice o che accada così, semplicemente.
I fatti, le storie, le cose, i fenomeni, gli eventi, i rapporti con gli altri e anche quelli con se stessi, sono tutti sempre più complicati, sempre più un groviglio, un intrico, una tortuosità, un labirinto, una confusione. Ma non vale cercare una motivazione nelle teorie, e nelle realtà, della società complessa. Non vale. La complessità è una condizione diversa da quella della complicazione: soprattutto è diversa dalla complicazione artificiosamente determinata.
Non c’è alcun dubbio che il tempo che attraversiamo generi situazioni probabilmente complesse nella forma e nella sostanza, e comunque più complesse rispetto a quelle generate dai tempi precedenti. Non si può nutrire neanche dubbio sul fatto che con la complessità del tutto sia indispensabile stabilire un confronto propositivo, produttivo, creativo.
Però, diventa necessario anche considerare che alle volte noi facciamo sforzi disumani per riuscire a complicare la semplicità, per trasformare in tortuoso quello che è lineare, in difficile ogni cosa facile. Fino al punto da sentirsi sopraffatti, dispersi negli intrichi delle complessità che noi stessi elaboriamo e con cui facciamo ogni giorno i conti.
Così, nel tempo delle più o meno inevitabili complessità, probabilmente risulta ormai indispensabile intraprendere un processo di ricerca della semplicità, nei modi e nelle forme che per questa ricerca sono possibili, praticabili, propositivi, produttivi, necessari e funzionali ad una attribuzione di valore esistenziale alle cose che si fanno. Certo, si potrebbero usare i termini in voga di efficienza, efficacia, economicità. Ma ora, qui, noi vogliamo dire valore esistenziale, cioè dell’esistenza, cioè del vivere ogni giorno. E’ diverso. Probabilmente meno impersonale. Probabilmente meno indifferente. Riduce, o azzera, il livello di pretestuosa complessità.