Raccontare fiabe è impresa non facile perché le narrazioni devono obbedire a un equilibrio sovrano. Debbono realizzare un mix di realtà e di fantasia, perché le conclusioni che esse richiedono non devono attingere a un fantastico gratuito ma costituire l’adempimento di un’attesa: quella di chi legge o ascolta una vicenda logica nel suo svolgimento e nella sua conclusione. Questa logica vuole che Cappuccetto Rosso sfugga al destino di vittima irreversibilmente e che per Cenerentola l’ora esatta che deciderà del suo destino è, senza sgarrare di un secondo, la mezzanotte. Melissano è come il pifferaio di una nota fiaba, non truce e vendicativo ma di una amabilità da nonno allenato a capire le tacite richieste di una platea semplice in apparenza, esigente in realtà. La via da percorrere, e Melissano la percorre con una sagacia da sperimentato narratore, è quella di un linguaggio che perfettamente si adegua a un pubblico non ingannabile con trucchi né sotterfugi ma che con la verità del cuore intravede, attraverso il racconto che è l’avventuroso salto nell’immaginazione, una verità che gli sarà nota quando la incontrerà nella vita. Ma in questo non ora, ma quando, in un impeto di generosità affronterà le insidie di qualche selva oscura per ritrovare Pollicino (o se stesso?). La narrazione fiabesca si farà carico anche di molti aspetti delle narrazioni popolari e ne promuoverà la conoscenza e lo studio: aspetti indispensabili di un cultura che per molti aspetti è ancora intenta a interrogare gli strati della complessità del nostro pianeta come di tutti gli aspetti che si affollano intorno ad ogni problema della nostra cultura. E nel nostro “fiabesco di casa” riapparirà la figura di un essere misterioso e dispettoso che, negli affaticanti meriggi estivi fa una treccia della coda dei cavalli o si pianta, beato!, sul seno delle donne; lo sciacuddhi.
[“Il Galatino” a. LII n. 9 del 17 maggio 2019, p. 3]