Fiabe 1. Il cane della principessa

La principessa seguì scrupolosamente i consigli dell’illustre professore, giungendo persino, in un empito di affetto irrefrenabile, a rotolarsi per terra e ad abbaiare.

Non c’era niente da fare: il cane non mangiava!

Disperata, la povera principessa non solo continuava a piangere tutto il giorno, ma si lamentava e piagnucolava anche nel sonno. La situazione era diventata insostenibile.

Fu così che una serva, scusandosi per l’ardire, osò suggerire di rivolgersi al vecchio della montagna.

Era costui un attempato eremita che viveva in una capanna sui monti al confine del regno, noto per la sua saggezza.

Per guadagnare tempo si scartò la strada della convocazione. Così venne subito organizzata una vera e propria spedizione e mezza corte salì in montagna per consultare il vecchio saggio.

Dopo alcune deviazioni venne finalmente trovata la capanna del sapiente. Il primo ministro gli espose il caso con dovizia di particolari e senza trascurare alcun dettaglio; il re gli promise solennemente una ricompensa favolosa; la principessa, tra molti singhiozzi e non poche lacrime, lo scongiurò di salvare il suo amato cagnolino.

Il vegliardo ascoltò tutti in silenzio, annuendo di tanto in tanto; guardò il cane e disse:

– Possiamo tentare. Non voglio ricompense di sorta: mi basta l’aria della montagna, i frutti della natura e l’acqua del torrente. È necessario però che il cane resti qui con me per un’intera settimana.

Apriti cielo! La principessa non voleva a nessun costo separarsi dalla sua adorata bestiola. Tuttavia, alla fine dovette cedere.

Passati sette giorni, la spedizione – questa volta senza alcun cambiamento di direzione – tornò alla capanna sui monti e la principessa, con gli occhi lucidi di pianto e il cuore in gola per l’ansia, chiese al saggio se il cane fosse guarito.

– Giudicate da voi, principessa! – rispose il vecchio. E così dicendo gettò al cane una cipolla cruda.

Subito l’animale l’afferrò al volo e la divorò in un battibaleno. Allora il vecchio saggio gli diede una mela vizza e la bestiola la trangugiò in men che non si dica.

Il cane, dopo un digiuno di sette giorni, era miracolosamente guarito.

[“Il Galatino” a. LII n. 9 del 17 maggio 2019, p. 3]

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