di Paolo Vincenti
“È una questione politica, una grande presa per culo, in questa nuova repubblica, non mi somiglia nessuno, no…”
(“Prendilo tu questo frutto amaro” – Antonello Venditti)
La privacy prima di tutto. Tornate alla ribalta mediatica in seguito all’inchiesta giudiziaria sull’affare Tempa Rossa, le intercettazioni telefoniche sono finite sotto accusa per via del loro uso, a dir poco smodato, fatto dalla magistratura. Nel caso specifico, dalla magistratura d Potenza, che indagando sui presunti illeciti in seguito allo scandalo del Centro Oli di Viaggiano, Basilicata, ha potuto poi allargare lo spettro delle indagini, con relativa inchiesta e conseguenti arresti eccellenti, anche alla installazione del gigante petrolifero della Total a Corleto Perticara e quindi del nuovo porto di Augusta, Sicilia. A scagliarsi contro le intercettazioni è stato proprio il Premier Matteo Renzi, che ha attaccato pesantemente la magistratura. In seguito alle esternazioni di Renzi, si è scatenata l’opinione pubblica, chi per difendere il Presidente del Consiglio, contro la presunta dittatura della magistratura, chi all’opposto per difendere la magistratura, la cui indipendenza sarebbe messa a repentaglio dalla politica, chi ancora scegliendo la terza via dei “distinguo” e di quelle che Orazio chiamava “questioni di lana caprina”. La tesi che sostengono questi ultimi (vedi Arturo Diaconale su “Il Giornale” del 6 aprile 2016) è la seguente: quando c’era Berlusconi erano tutti a favore della magistratura. “Dagli al puzzone, i magistrati sono degli eroi”, gridava compatto tutto il blocco di centro sinistra; ora che al governo c’è il Pd e quindi i poteri forti bancari e finanziari, i magistrati debbono stare al loro posto, guai a sconfinare in ambiti che non gli pertengono. Non bisogna che le intercettazioni sconfinino anche nel privato, dando adito a pettegolezzi, è il ragionamento di Renzi, al Tg5.