La caratteristica fondamentale della nostra specie

Chi studia la biodiversità tende a riportare le specie “nuove” e, quindi, apparentemente, il numero delle specie aumenta. Il contrario di quel che ci dice il rapporto delle Nazioni Unite. Il problema è che non è facile stabilire le estinzioni. Se si estingue un uccello che vive solo su un’isola, tipo il dodo, non è difficile stabilire che non ce ne sono più. Ma la biodiversità è costituita da milioni di specie apparentemente insignificanti: sono loro che fanno funzionare gli ecosistemi. Gli insetti, per esempio. Ricordate Pasolini? La sua preoccupazione per la scomparsa delle lucciole? L’agricoltura ha una finalità ben precisa: eradica la biodiversità e la sostituisce con una sola specie, quella che ci interessa. Con i pesticidi uccidiamo le piante che competono con quelle che coltiviamo, e uccidiamo gli insetti che se ne cibano. Ma uccidiamo anche gli insetti impollinatori, e anche i loro predatori. Sessant’anni fa, da bambino, facevo la collezione di farfalle. Se oggi un bambino di otto anni volesse fare la collezione di farfalle troverebbe solo cavolaie. Fino a trent’anni fa, in primavera e estate un viaggio in auto finiva con un parabrezza pieno di insetti spiaccicati. Ora non ce ne sono quasi più. Sui banchi delle pescherie c’erano pesci di mare, ora sono quasi tutti di allevamento, oppure vengono da altri mari. Il motivo è semplice: nei nostri mari sono diminuiti in modo drastico. L’allarme, quindi, è giustificato. A saper guardare, i segnali ci sono tutti. La scienza dovrebbe essere chiamata a rispondere a una serie di domande, tipo: quali sono le specie che abitano il pianeta? Cioè: quali sono quei sei milioni di specie ancora sconosciute? L’altra domanda è: quale ruolo gioca ognuna di esse nel far funzionare gli ecosistemi? E ancora: quale è lo stato di conservazione di queste specie? Se vogliamo gestire e proteggere la biodiversità la dobbiamo conoscere, è talmente logico! Come si fa a proteggere e gestire quel che si ignora? E se dipendiamo dalla biodiversità, cosa indubbia, allora come mai non dedichiamo risorse per conoscerla, gestirla e proteggerla? La risposta è che non stiamo facendo quasi nulla in questa direzione. Stiamo investendo risorse molto significative per cercare la vita sugli altri pianeti, per comprendere i buchi neri e le particelle elementari. Ci prepariamo a missioni interstellari per colonizzare altri pianeti. Va benissimo, si tratta di scienza di altissimo livello. Ma come mai non dedichiamo nulla alla biodiversità? Il nostro benessere dipende dalla sua integrità, se la distruggiamo erodiamo le premesse per continuare ad esistere! Esiste quindi uno scollamento tra le priorità dichiarate (dobbiamo invertire rotta perché stiamo distruggendo la vita sul pianeta, e quindi anche noi stessi) e gli investimenti in ricerca scientifica per comprendere bene il problema e cercare soluzioni. Probabilmente noi che studiamo la biodiversità non riusciamo a spiegarci a sufficienza. Ci pare sufficiente che il Papa scriva un’Enciclica sulla biodiversità, che ci siano dichiarazioni della sua importanza negli incontri del G7, e nei documenti delle Nazioni Unite. Che si può chiedere di più? Sono tutti d’accordo. Però al momento di investire fondi pubblici in ricerca scientifica c’è sempre qualcosa di più interessante su cui concentrare la comunità scientifica. Perché la scienza vive di finanziamenti pubblici e se qualcosa viene finanziato, qualcos’altro viene lasciato in povertà. La cosa migliore sarebbe di finanziare tutto, ma se i soldi dedicati alla ricerca non sono infiniti, allora dovremmo stabilire delle priorità. La biodiversità non viene al primo posto nelle priorità e non è neppure al secondo, o al terzo. Proprio non c’è. In barba a tutte le dichiarazioni di principio. Ora, se Trump dovesse fare quella domanda: mostratemi i dati sulle estinzioni, e i dati non ci fossero (perché non ci sono) ci potrebbe dire che l’allarme è ingiustificato. Invece l’allarme riguarda proprio il fatto che non abbiamo i dati, anche se la distruzione degli habitat, degli ecosistemi e delle specie è reale. L’assenza di questi dati dimostra che non facciamo nulla per quantificare quello che è sotto gli occhi di tutti. E quindi può tranquillamente arrivare un fesso che dice che la soluzione è di trasferire la specie su un altro pianeta, dopo che lo avremo distrutto. Per quello i soldi si trovano. Cerchiamo esopianeti, pianifichiamo spedizioni di colonizzazione. Ovviamente cerchiamo la vita su altri pianeti. Non l’abbiamo mai trovata, ma continuano a dirci che con opportune risorse la troveremo. Ma noi siamo il prodotto dell’evoluzione di questa biodiversità e viviamo grazie agli ecosistemi che essa forma. Se mai ci fosse vita su altri pianeti, possiamo davvero pensare che sia compatibile con la nostra sopravvivenza? Non possiamo neppure pensare di portare le specie con noi, come fece Noè con l’arca. Non le conosciamo! La spiegazione di tutto questo, per me, risiede in una caratteristica fondamentale della nostra specie: siamo scemi!

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