di Antonio Errico
Una città del Salento. Non grande, non piccola. Una media città. Un paese che d’inverno è soltanto paese e che nei giorni d’estate, di festa, di ponte, diventa città d’arte e vacanza. La gente va e viene per le strade del borgo antico, entra nei negozi, nelle chiese, esce, parla lingue diverse, si siede ai tavolini dei bar, guarda le nuvole che si fanno più gonfie, si chiede se pioverà o non pioverà.
Il vento della primavera si sfrena dentro i vichi, si schianta sui frontoni dei palazzi, scuote i lampioni, vortica nelle corti, si attorciglia agli angoli.
In un minuscolo slargo che si apre inaspettato al termine di una scalinata, c’è una statua di uomo senza nessuna indicazione, senza nessuna identità.
Di fronte, sulla facciata di una casa imbiancata a calce, come creatura affacciata alla finestra, l’immagine di una Madonna che con un braccio sostiene il Bambino e con l’altro una brocca dell’acqua.
La gente si ferma ad osservare la statua d’uomo senza indicazione e identità, fotografa, fotografa, e non si accorge di quell’opera d’arte popolare, di quel sorriso di Madonna compiaciuto e rasserenante, di quella figura dipinta da un dilettante che per il convicinato certo rappresentava l’artista devoto, colui che riusciva a mettere insieme estetica e preghiera, pietas e orgoglio, ringraziamento e implorazione.