Il nostro immaginario è composto, più o meno consapevolmente, da queste due figure, da quella dell’assenza e da quella della presenza. Dalla sottrazione alla fisicità, una volta che con la morte si è conclusa la storia di Cristo fra gli uomini, e dalla sua presenza ineludibile, definitivamente liberata dalla dimensione del tempo.
Non è possibile confrontarsi con il mistero della Resurrezione. Qualsiasi ragionamento si è sempre rivelato e si rivelerebbe assolutamente inconcludente, qualsiasi tentativo di dimostrazione assolutamente pretestuoso, presuntuoso. Il mistero si accetta oppure no. Anzi: si accoglie oppure no. Soltanto con sentimento, a volte inquieto, a volte sereno. Però, l’assenza della fisicità nella narrazione di Matteo, fa sentire il divino aleggiante intorno, vicino, mentre la prorompenza delle forme di Piero della Francesca in qualche modo sembra allontanarlo, perché quel Cristo, con la sua soprannaturalità, non ha nostalgia degli uomini e della terra, quella umana nostalgia che invece è la condizione che connota il Cristo della “Passione” di Mario Luzi, che ce lo fa sentire prossimo, compagno nel destino della vita e della morte.
Ha nostalgia della terra, il Cristo che Luzi raccontò, perché alla terra si era affezionato, ad una terra bella e terribile. Prova nostalgia, come un uomo, soltanto come un uomo, per la sua gente povera, amabile, esecrabile. Si era affezionato, come accade ad un uomo, alle sue strade, alle vigne, agli uliveti. Lasciare la terra lo addolora. Lasciare gli uomini, le loro occupazioni, le loro case, i loro ricoveri, i tormenti, le poche felicità, le loro contraddizioni: lasciare tutto questo lo addolora; congedarsi da tutto, da tutti, gli dà angoscia più di quanto è giusto.
Lì, sul poggio che chiamano Calvario, si domanda se è stato troppo uomo tra gli uomini, o troppo poco uomo, se il terrestre l’ha fatto troppo suo o l’ha rifuggito.
Questo si domanda e non si risponde. Implora indulgenza al Padre, comprensione per la debolezza del sentimento che confessa come può fare un uomo, soltanto un uomo, figlio di un uomo e una donna.
Nella “Passione” di Luzi, Cristo è uomo e Dio, indubbiamente; ma le parole, le malinconie, le emozioni, i rimpianti, le ansietà, i turbamenti, sono quelli che può avere chi è soltanto un uomo.
Si è innamorato della terra, Cristo, e delle sue creature. Si è innamorato come si innamora un uomo. Lì, sul poggio che chiamano Calvario, nel suo colloquio con l’Eterno cui appartiene, non giudica nulla, non giudica nessuno. Chi prova amore non giudica. Comprende. Chi prova amore perdona, indipendentemente dalle ragioni e dai torti, dagli alibi e le colpe.
Ma è su quell’abbozzo di collina che Cristo comprende che cos’è il corpo. Così dice Alda Merini verso la fine del suo “Poema della croce”. Dice che è in quel momento, mentre i chiodi torturano la carne, che comprende che cos’è il corpo nella vita di un uomo, e come rimanga appeso oltre l’anima, e come non ha voce.
Il racconto del Vangelo si spande in ogni tempo, richiama altre storie, altri racconti, attraversa situazioni e condizioni sociali, esistenziali. In quel romanzo dimenticato che si intitola “Getsèmani”, Giorgio Saviane fa dire ad un personaggio: se Gesù nascesse oggi, predicherebbe lo stesso Vangelo o lo cambierebbe? I problemi per esempio del Terzo Mondo, della minaccia nucleare, dell’inquinamento, della disoccupazione giovanile, potrebbero restare fuori dalla sua predicazione? Il libro di Saviane è del 1980. In quattro decenni si sono trasformati – in alcuni casi radicalmente – gli scenari e i contesti sociali, politici, economici, le forme e i linguaggi culturali che rappresentano ed esprimono questi contesti, si sono verificate mutazioni antropologiche significative, i problemi si sono stratificati, ingigantiti, moltiplicati, per cui a quelle domande, che restano purtroppo drammaticamente attuali, se ne potrebbero aggiungere altre, molte altre, ugualmente drammatiche.
Ma forse Gesù predicherebbe lo stesso Vangelo, perché è quel racconto che insegna a confrontarsi con l’Altro, che induce ad avere speranza nei piccoli miracoli che gli uomini, che sono soltanto uomini, possono compiere ogni giorno.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 21 aprile 2019]