Torniamo al punto di partenza. Il mio sguardo si sposta da Santa Croce a un palazzo sulla destra, un’insegna attrae la mia attenzione: «Palazzo Taurino. Medieval Jewish Lecce». Vi entro, è un museo sotterraneo che illustra un aspetto poco conosciuto della nostra storia, la presenza pluricentenaria degli ebrei in città. L’iniziativa si deve a un gruppo di cinque giovani che, animati da buona volontà, hanno realizzato una mostra permanente. Il percorso si snoda costeggiando la sala delle vasche, la sala del granaio, la sala del camino ed è accompagnato da pannelli e foto, c’è un video, in un angolo si vende cibo kosher (la cucina kosher è quella che rispetta i dettami della religione ebraica sull’alimentazione). Fabrizio Lelli, che insegna lingua e cultura ebraica nella nostra Università, ha fornito l’indispensabile consulenza scientifica.
Lo slogan che leggiamo sui pannelli luminosi diffusi in città recita: «Benvenuti a Lecce, capitale del barocco». È giusto, il barocco segna la nostra storia. Ma esistono, a Lecce e nel Salento, pezzi del passato non meno affascinanti. Il Salento preistorico offre una delle più grandi concentrazioni di dolmen e menhir d’Italia a Giurdignano, un piccolo centro vicino Otranto, vero giardino megalitico d’Italia. In tante diverse località è ben visibile il Salento messapico, greco, romano, bizantino con le mura, gli anfiteatri, gli scavi, le chiese, le cripte che archeologi e storici dell’arte con tenacia recuperano, studiano, sottraggono al degrado del tempo e molto spesso anche all’incuria degli uomini e delle istituzioni (quando la smetteremo di farci male?). Il Salento liberty si lascia ammirare con le dimore borghesi di Lecce lungo viale Lo Re e viale Gallipoli e con la sfilata maestosa delle Cenate (da Nardò verso il mare), dove ville in stile liberty si alternano ad altre barocche, ad altre ancora in stile moresco e ricche di motivi orientali, costruite per la maggior parte tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, alcune già nei secoli precedenti (trovo una citazione delle Cenate in un documento della fine del Quattrocento).
E c’è, ancora poco noto, il Salento medievale successivo all’anno mille, di cui oggi voglio parlare. Quella medievale è una storia di incroci, non di isolamento o di separatismo. Popoli diversi hanno avuto contatti, a volte pacifici a volte bellicosi e traumatici, con i nostri antichi progenitori: ebrei e bizantini, già citati; e normanni, angioini, catalani e castigliani; dalla costa di fronte sono arrivati i turchi con le armi (tutti conoscono il sacco di Otranto del 1480, ma non è l’unico assalto) e albanesi e slavi chiamati a lavorare. Erano continue le relazioni, vai e vieni, con altre regioni d’Italia: Napoli (la capitale del Regno), Firenze (il centro culturale più importante), Venezia (in piazza Sant’Oronzo a Lecce, sull’architrave del Sedile, è effigiato il Leone di San Marco). E poi rapporti con le altre zone del Sud estremo, continentale e insulare (la Sicilia e l’area calabro-lucana). La storia culturale della nostra terra nel Medio Evo è animata e multiforme, percorsa da scambi molteplici. Non si viaggiava per turismo: si spostavano di continuo, per le occasioni più varie, mercanti, notai, funzionari di corte, uomini d’arme, monaci, predicatori. Quella medievale non è una società immobile, come spesso sentiamo ripetere. Impariamo a leggere le tracce giunte sino a noi, non solo attraverso i monumenti e gli edifici, ma soprattutto studiando gli antichi testi. Le situazioni del passato si riverberano nei testi, tutto si riflette nella lingua.
Non sono passati molti anni da quando studiosi eccellenti ripetevano che una storia linguistica del Salento e della Puglia era di fatto impossibile per la scarsità della documentazione disponibile. Oggi sappiamo che questa pregiudiziale non è vera: censimenti accurati e nuove indagini hanno portato alla luce molti testi fino a ieri sconosciuti, numerosi e variati. Testi letterari e di contenuto enciclopedico, grammaticale, religioso, trattati di medicina e di veterinaria, statuti, inventari, documenti del mondo giuridico-notarile e dei conventi, testimoniano una cultura varia nei contenuti, fino alla vita quotidiana. Possiamo recuperare un enorme patrimonio di parole riguardanti oggetti d’uso comune e attrezzi di lavoro, utensili, arredi della casa, vesti, tessuti, ornamenti, recipienti, mestieri, materiali e tecniche di esecuzione, animali terrestri e pesci, indicazioni di misura e di peso, monete, anche campi astratti come colori, dignità e cariche, diritto, relazioni di parentela. I testi medievali documentano parole e forme moribonde o scomparse dai nostri dialetti odierni, preziosi. Così il passato si collega al presente.
Allo studio scientifico della nostra lingua antica si dedicano giovani capaci. Mi limito a citare due pubblicazioni recenti: 1. un trattato sulla peste, il Librecto di pestilencia (1448), scritto dal galatinese Niccolò di Ingegne per Giovanni Antonio Orsini del Balzo, principe di Taranto (lo ha studiato Vito Castrignanò ed è stampato a Roma dal prestigioso Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Centro di studi orsiniani); 2. un commento al Teseida di Boccaccio, lo Scripto sopra Theseu re, compilato da un anonimo salentino negli anni ottanta del sec. XV per Angilberto del Balzo, conte di Ugento e duca di Nardò (lo ha studiato Marco Maggiore ed è stampato in Germania dall’editore de Gruyter in una collana di prim’ordine). I due ricercatori, formatisi nel nostro Ateneo, lavorano oggi in un Istituto CNR di Firenze.
Un mio amico tedesco, che conosceva bene e amava la nostra regione, mi disse una volta: «In Salento esistono tutte le condizioni per una stagione turistica che si estenda molto al di là dei mesi estivi. Puntate sui pensionati benestanti del Centro e del Nord Europa. Approfittando del clima mite, attirateli in primavera e in autunno, mostrate loro le meraviglie di cui è disseminata la vostra terra, puntate sulla cultura». Torniamo così allo sviluppo sostenibile e ben educato di cui parlavo all’inizio. Il guanto è lanciato, una nuova sfida potrebbe avere inizio.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 28 agosto 2016, p. 15]