di Augusto Benemeglio
Raffale Spongano era un uomo di ferro, come non ne nascono più. Era nato a Cellino San Marco, il paese di Albano, nel 1904, ed è morto centenario a Bologna, dove ha vissuto gli ultimi cinquant’anni della sua esistenza di meridionale “anomalo”. Non sapeva cantare, né suonare la chitarra e il mandolino. In compenso fondò la Facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi di Lecce. E si affermò come uno dei più illustri italianisti, fondatore di varie accademie riviste e fondazioni culturali.
Per quindici anni, dal 1948 al 1963, aveva insegnato letteratura italiana all’Università di Padova, poi era approdato a quella prestigiosa di Bologna, dove era stato per molti anni Presidente della Commissione per i testi di lingua, alla cui attività aveva dato grande impulso.
Me ne parlò, quasi casualmente, a Gallipoli, un suo allievo, Emilio Pasquini, attualmente ordinario di lingua e letteratura italiana presso l’università di Bologna, con il quale ci conoscemmo un’estate della fine degli anni novanta sui campi di tennis di tennis del Club degli Ulivi di Tuglie, diretto dal maestro Cosimo Pino.