Comprendiamo il presente solo conoscendo l’antico

di Antonio Errico

In una lettera del 5 gennaio 1871 indirizzata a Francesco Florimo, Giuseppe Verdi scriveva: torniamo all’antico e sarà un progresso.

Antico è quello che è venuto prima e che ha lasciato traccia, resistendo all’infuriare del tempo, all’erosione che fa l’oblio. Antico è l’universo greco-latino da cui proveniamo, che configura il nostro pensiero, il nostro linguaggio, la nostra visione del mondo.

Antico è il Salento, per esempio.

Antica è la cattedrale di Otranto, la chiesa di San Domenico Maggiore a Taranto; sono antiche le colonne romane di Brindisi. Alla notte dei tempi appartengono la Donna di Ostuni, la Grotta delle Veneri di Parabita, la grotta del Cavallo e di Uluzzu, la Romanelli di Castro, e poi i dolmen e i menhir che dialogano con il cielo, e Alexia e Bavota, e anche la pietraia dov’era una volta Casole con i suoi codici spalancati sul Mediterraneo, Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, le chiese rupestri, la Centopietre di Patù, il Crocefisso nero della Cattedrale di Nardò, le torri a strapiombo sul mare.

Sono antichi il pane, l’olio, il vino.

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