di Ferdinando Boero
Immaginate la terra interamente coperta dall’oceano. La vita continuerebbe? Sì. Ora immaginate che ci siano solo terre emerse. La vita continuerebbe? No: il pianeta è vivo grazie agli oceani. Da animali terrestri stentiamo a capirlo. Il clima, le stagioni, le piogge, dipendono dall’oceano. Tutto quello che produciamo, consumiamo e gettiamo, prima o poi finisce in mare. Il 71% della superficie del pianeta è coperto dagli oceani, ma una superficie non basta per misurarli. La profondità media dell’oceano è 3.500 m: l’ambiente acquatico si misura con un volume, non con una superficie, e rappresenta più del 90% dello spazio abitabile dalla vita. Non possiamo far finta che non ci sia, o che sia marginale. L’oceano non conosce confini, non ci sono barriere politiche che possano fermare la natura, e anche i danni che le facciamo.
Ora siamo pronti per parlare di sostenibilità: ogni crescita del capitale economico deve avvenire in modo che il capitale naturale non sia eroso. La natura si rinnova e noi la dobbiamo “consumare” in modo da permetterle di rigenerarsi; se il tasso di consumo eccede il tasso di rinnovo entriamo nell’insostenibilità, viviamo a debito, e il creditore è la natura. Un creditore che non guarda in faccia nessuno, quando presenta il conto. L’economia dominante considera l’erosione del capitale naturale come un’esternalità. Qualcosa da mettere all’esterno delle analisi costi-benefici e, se si parla di protezione della natura, si viene accusati di fermare lo sviluppo. Cattiva economia: i costi economici derivanti dalla distruzione del capitale naturale sono enormi e vanno contabilizzati. Le inondazioni, le carestie, le siccità, gli sconvolgimenti climatici causano danni enormi alle vite delle persone e alle economie degli stati. Le masse di rifugiati che premono alle porte dei paesi sviluppati fuggono da situazioni insostenibili generate dal deterioramento della natura, a cui seguono guerre, carestie, epidemie.