Lo studio di Morelli, tuttavia, si snoda seguendo la vicenda umana e politica di Rodolfo d’Ambrosio, che occupa una posizione centrale. È, come dire, il tracciato per seguire la sua formazione nella quale ricorrenti sono le figure degli altri due, del padre Angelo, caporedattore di Spartaco, e del compagno Marzano, avendo sullo sfondo la storia delle idee politiche in Italia a cavallo tra l’Otto e il Novecento. Eretica deriva quella di Marzano, che, col suo estremismo farà chiudere temporaneamente lo Spartaco per finire nel fascismo nel 1926.
A Napoli D’Ambrosio e Marzano frequentarono l’uno la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università per diventare avvocato, l’altro la Scuola Normale per diventare insegnante, ma soprattutto incrociarono e frequentarono i personaggi più importanti del socialismo napoletano di fine secolo, le correnti culturali allora in auge, democratiche, mazziniane, massoniche. Dell’uno e dell’altro l’autore segue come guide biografico-argomentative le schede segnaletiche, coi cenni biografici, dei due sorvegliati speciali, che la prefettura di Lecce puntualmente redigeva, come era d’uso a quei tempi, per conoscere e tenere sotto controllo gli attivisti politici, specialmente i sovversivi.
La difficoltà maggiore – chiamiamola così – per chiunque voglia seguire la vicenda umana e politica di un socialista vissuto fra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ma non sarebbe sbagliato neppure riferirsi ad un socialista di oggi, è di scorgere una linea di tendenza netta e regolare che dall’anarchismo porti al socialismo o viceversa, perché in ogni socialista convivono in maniera altalenante entrambe queste due posizioni ideologiche, che solo le circostanze e gli umori possono far prevalere alternativamente. Morelli lo fa capire chiaramente quando, seguendo sempre Rodolfo d’Ambrosio, intitola un capitolo, il penultimo, “La crisi dell’anarchismo e l’approdo al socialismo”, per poi intitolare l’ultimo capitolo “Anarchico sempre”.
Conferma questo dato antropologico del socialista il fatto che perfino fra anarchici esplode aspra la polemica allorquando si è chiamati ad assumere una posizione elettoralmente più utilitaristica. Lo ricorda Morelli, che non manca di fare puntuale riferimento al dibattito nazionale. È il caso del settimanale L’Agitazione, sul quale nasce e si sviluppa il confronto fra socialisti e anarchici.
L’Agitazione era stato fondato da Errico Malatesta ad Ancona ed aveva per sottotitolo Periodico socialista anarchico. Rodolfo d’Ambrosio era fra i collaboratori. Attento a quanto accadeva in Italia e fuori, in Spagna, per esempio, dove erano stati fucilati cinque anarchici per un delitto non commesso, a cui era stata estorta la confessione con la tortura, o nell’isola di Creta contro le forze d’invasione turche, o gli eccidi degli armeni da parte dei turchi, D’Ambrosio intervenne sia per denunciare i misfatti e i soprusi sia per propagandare la giustezza dell’anarchia. In lui, come in Marzano, che viene inviato come corrispondente di guerra dai luoghi in cui si erano svolti i combattimenti greco-turchi, il “vangelo anarchico” si declina con la libertà e il diritto dei popoli, “retaggio – commenta Morelli – del pensiero liberale e mazziniano”.
Sul fronte interno Rodolfo d’Ambrosio è attivo nelle polemiche parlamentaristi-astensionisti e coglie la contraddizione dei primi quando, constatando la loro inutilità parlamentare, si rivolgono al popolo perché passi all’azione diretta. Col suo sodale Marzano s’impegna in polemiche anticlericali che tengono alta la tensione culturale in Taviano.
Erano, quelli, anni di massima repressione con Di Rudinì prima e poi con Pelloux al governo. La corrispondenza dei giornali veniva sequestrata e restituita aperta giorni dopo ai legittimi destinatari. D’Ambrosio riflette sulla remissività del popolo italiano che non sa ribellarsi a tanto sopruso. E’ questo un momento delicato e di svolta perché – dice Morelli – investe in D’Ambrosio “la nozione stessa di popolo, che mette in crisi la categoria strutturale del pensiero mazziniano e postula l’esigenza di una lettura antropologica e storica, più che ideologica”. Di qui la necessità di una rivoluzione culturale come presupposto dell’emancipazione economica e sociale.
Ma è nel momento in cui D’Ambrosio è chiamato a fare qualcosa per cambiare la realtà che avviene il passaggio dal bello anarchico all’utile istituzionale.
D’Ambrosio si laurea nel 1898 e torna nella sua Taviano. In paese regnano lo squallore, il degrado, le ingiustizie sociali, gli egoismi dei notabili, le vacuità dei borghesi. Di fronte ad uno scenario simile non c’è che di finirla con le troppo sofisticate teorie politiche e i distinguo ideologici. S’impone il dovere dell’impegno nel tentativo di fare qualcosa di concreto. D’Ambrosio aderisce al Psi. “Un’evoluzione – dice Morelli – che è nelle cose. Che si inserisce nella progressiva confluenza nel Psi di molti esponenti dei nuclei mazziniani e anarchici napoletani”. L’amicizia con l’avvocato Vito Maria Stampacchia è il di più in questo processo di istituzionalizzazione. Anche se, come nota Morelli, “restano nel linguaggio di D’Ambrosio, il codice ideologico e il lessico anarchico e mazziniano”.
L’anno successivo, nel 1899, a Taviano ci sono le elezioni amministrative. D’Ambrosio si candida e viene eletto. Ha l’opportunità di incidere fattivamente. Fa intitolare tre vie cittadini ad altrettanti suoi miti: Giuseppe Mazzini, Felice Orsini e Felice Cavallotti. Ma interviene anche nel settore dell’igiene e dell’istruzione promuovendo iniziative in favore delle famiglie più bisognose, entrando in conflitto con la Congregazione di carità, che fino a quel momento era stato un centro di potere dai comportamenti opachi, ispirando la fondazione della Lega dei Contadini. Intanto cresce in lui “un’inquietudine della coscienza, la ricerca di strade nuove e di nuovo senso nell’azione politica, un’esigenza di maggiore autenticità e concretezza degli obiettivi di lotta”. La scelta ormai è quella socialista. Da socialista diventerà sindaco di Taviano, sebbene – conclude Morelli – non cesserà mai di “essere anarchico nello spirito, nel disinteresse verso il potere, nell’irriducibile rigore morale, nell’alto senso della giustizia, nella pietà per i più deboli e per gli ultimi”.
Remigio Morelli, con questo suo studio appassionato e rigoroso, parla anche un po’ di se stesso e ai tre personaggi del libro ne aggiunge un quarto, siccome di questo libro è la mente e l’anima.
[“Presenza taurisanese” a. XXVII n. 4 – aprile 2019, p. 9]