Ma gli esempi sono limitanti, e poi, quello che su cui si vorrebbe ragionare adesso non è tanto la funzione che ha avuto la letteratura salentina nel secolo passato, ma la funzione che sta cercando in questi anni di secolo nuovo, di nuovo millennio.
Ad impressione si potrebbe sostenere che la funzione rimane quella che ha avuto nel Novecento. Ad esso ancora si riferisce, con esso continua a fare in conti.
Fino a questo momento, non ha cominciato a confrontarsi con il secolo che corre. Non ha avuto modo di intercettarne i segni nuovi, forse. Ma senza colpa. I segni sono non di rado difficilmente decifrabili. Le mutazioni – tumultuose- si sono portate dietro e dentro nuovi linguaggi, che poesia e narrativa non hanno potuto ancora elaborare.
Si sa che la letteratura non può, e quindi non deve, riproporre i linguaggi ordinari. Deve rielaborarli in linguaggi propri, specifici, particolari, che significano e dicono il tempo ma svincolandosi dal tempo in modo da poter durare oltre. La letteratura non può, e quindi non deve, raccontare che cosa accade, in che modo accade. Per questo esiste una narrazione giornalistica che in qualche caso si costituisce anche come fondo, come sostrato, di letteratura. Deve, invece, sviluppare un linguaggio nuovo, diverso, “altro”, inedito, ulteriore.
Probabilmente la difficoltà non è tanto quella di individuare o recuperare elementi tematici o semantici, ma quella di comprendere quale possa essere il linguaggio ulteriore, quello che riesce ad essere trasversale, ad attraversare quegli elementi tematici e semantici ed a rintracciarne i nuclei su cui lavorare.
Questa difficoltà ha anche una ragione storica che si può identificare nella sperimentazione linguistica realizzata in alcuni decenni del Novecento a livello europeo, nazionale, territoriale.
Talune volte sembra che sia stato tutto già detto, che sia stato detto in tutti i modi possibili, che un modo diverso da quelli conosciuti non esista.
Ci si domanda, per esempio, se il linguaggio ulteriore non possa essere quello dell’origine, il dialetto. Ma il Novecento italiano ha impiegato il dialetto in tutte le maniere in cui si può impiegare: da quella di Giuseppe De Dominicis a quello di Pietro Gatti,per fermarsi al contesto territoriale, a quella di Fabrizio De’ Andrè che con “Creuza de ma”, in genovese antico, scrive il più bel poema in lingua dialettale che in quel secolo sia stato scritto.
Ci si domanda, per esempio, se il linguaggio ulteriore non possa semplicemente essere l’italiano affrancato dalla schiavitùdei social. Ma il Novecento ha sottoposto l’italiano ad ogni tensione linguistica, ad ogni tentazione formale.
Intanto il Salento cambia la sua fisionomia, il modo di confrontarsi con se stesso, con l’Europa, con il Mediterraneo. Cambiano i suoi paesi, le sue città, le esistenze di coloro che abitano i paesi e le città, di coloro che vi giungono, di coloro che se ne vanno.
Intanto cambiano le generazioni, le esigenze, le urgenze, le visioni, i riti. Cambiano i riferimenti e le categorie di interpretazione dei fatti e dei fenomeni. Cambiano i simboli, le metafore, le rappresentazioni.
Si potrà e si dovrà raccontare tutto questo, certamente, tutta questa mutazione. Ma con quale lingua raccontarlo non si è capito ancora.
Forse sarà necessario scardinare logiche, grammatiche, sintassi conosciute. Disintegrare il lessico e poi rigenerarlo. Inventare una diversa combinazione di tecniche, repertori, registri, musicalità, modulazioni stilistiche. Assemblare citazioni, allusioni, plagi, parodie, contaminazioni. Provocare un capogiro di immagini attraverso un linguaggio vertiginoso, vorticoso, attraverso una parola ad un tempo sofisticata e viscerale, attraverso un’espressione puramente soggettiva, una lingua di dentro profonda ed ancestrale, traduzione di un processo di pensiero che scarta dai percorsi lineari e s’immerge, sprofonda, in una dimensione temporale deformata, in un oltre e un altrove in cui reale ed irreale, ragione ed emozione, sono senza differenza, in cui il senso logico e cronologico è completamente disarticolato e assorbito in un flusso di sensazioni consce ed inconsce, in una mescolanza di verosimile e inverosimile, concretezza ed astrazione, memoria del linguaggio e reinvenzione del linguaggio attraverso la memoria.
Forse sarà necessario fare questo. Forse molto più di questo, altro da questo.
Quando e come si riuscirà a cominciare non si può sapere. Chi sarà a cominciare non si può sapere.
Così la letteratura di questo Salento rimane sospesa tra un richiamo del Novecento ancora non narrato compiutamente, e forse mai compiutamente narrabile, e un nuovo secolo che chiede, pretende, il principio di una nuova narrazione.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 7 aprile 2019]