di Antonio Errico
Le Sirene di Omero promettevano conoscenza. Nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, che personalmente preferisco, ai versi 184- 189 del libro dodicesimo dell’Odissea dicono così: “Qui, presto, vieni, o glorioso Odisseo, grande vanto degli Achei,/ferma la nave, la nostra voce a sentire./Nessuno mai si allontana di qui con la sua nave nera,/ se prima non sente, suono di miele, dal labbro nostro la voce;/poi pieno di gioia riparte, e conoscendo più cose”.
Così dicono le Sirene di Omero, alzando la loro voce bellissima, e l’eroe vuole sentire e comanda ai compagni di scioglierlo dai nodi strettissimi con cui si era fatto costringere all’albero della nave. Ma la ciurma continua a remare, a corpo perduto, e anziché scioglierlo lo lega ancora più forte, come lui aveva ordinato, fin quando “le sorpassarono, e ormai né voce più di Sirene udivano, né canto”.
Non esiste un tempo che non abbia sirene. A volte si nascondono, subdolamente, a volte si mostrano, sfacciatamente. Ma non esiste un tempo che non abbia sirene. Con loro devono fare i conti, gli umani che abitano ogni tempo.