di Ferdinando Boero
Quando ho scritto l’articolo seguente non ero a conoscenza del Decreto Salva Italia, che destina 110 miliardi per mettere in sicurezza il paese dal Dissesto Idrogeologico. Inoltre si stanno promuovendo misure che incentivano le auto pulite. Ne ha parlato Conte ieri, lamentando che la notizia ha ricevuto scarsissima risonanza. Forse qualcosa in direzione della sostenibilità si sta programmando, nella speranza che alle parole seguano i fatti. (F.B.)
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Il Movimento 5 Stelle ha giustamente, secondo me, ricevuto una sonora batosta elettorale. Così come l’ha ricevuta a suo tempo il PD. Moltissimi elettori del PD lo abbandonarono e trasmigrarono nel M5S ma, alla prova dei fatti, sono rimasti delusi. Io sono uno di quelli. Non posso parlare a nome di tutti, posso però dire cosa abbia deluso me, per quel che vale.
La mia formazione mi porta a privilegiare in modo quasi totalizzante la questione ambientale. Il modello attuale di sviluppo, basato sulla crescita del capitale economico e incurante della conseguente decrescita del capitale naturale, non è sostenibile. Bisogna proporre modelli che sostituiscano gli attuali. In un primo tempo Beppe Grillo lo fece, proponendo anche con scelte personali una serie di soluzioni alternative. Denunciò gli sprechi e le truffe di un sistema economico che stava portando il paese alla rovina. Nei fatti, però, il plebiscito per il M5S non ha portato al rispetto di quella visione. Dire aprioristicamente no a tutto senza proporre qualcosa di alternativo che sia economicamente spendibile non è una vera alternativa. Il paese va riconvertito da un punto di vista energetico, il governo del territorio deve procedere secondo binari differenti. Deve essere chiaro che il sistema attuale non funziona, ma bisogna avere anche chiaro con cosa sostituirlo. I continui voltafaccia del M5S indicano stato confusionale.
Non credo che gli elettori del M5S siano tornati a votare PD (in attesa che si capisca cosa vuole diventare) o che, addirittura, abbiano votato Lega. Ora come ora sono orfani di rappresentanza. Manca una visione diversa del futuro, che non si fermi a provvedimenti contingenti (come il reddito di cittadinanza) e che riveda il ruolo del governo dello stato come motore di progresso. Progresso non significa necessariamente crescita economica immediata. Se, lo voglio ripetere, la crescita del capitale economico richiede la distruzione del capitale naturale, alla fine si ha anche la decrescita economica visto che i costi della distruzione della natura si pagano eccome. In termini di cambiamento climatico, dissesto del territorio, aumento della bruttezza di quel che ci circonda, disagi per la salute. Tutto questo ha costi economici rilevantissimi, pagati dalla collettività. Così finisce che i privati guadagnano e poi il pubblico deve pagare, con soldi pubblici, i danni derivanti dal loro guadagno.
È quel che è successo quando si è scelleratamente pensato di risolvere il malfunzionamento della cosa pubblica affidandola ai privati. Abbiamo visto i risultati con Alitalia, le Autostrade, le acciaierie e tante altre imprese. Le cose dello stato devono funzionare benissimo, e i guadagni che derivano dalla loro gestione non devono finire nelle tasche dei privati ma in quelle pubbliche, per incrementare il benessere pubblico. Ora che i buoi sono fuggiti si corre al riparo chiudendo i recinti. Ma non ci sono alternative. Gli asset strategici devono restare in mano pubblica. Sono fiero di lavorare in un’Università pubblica e non ritengo sano curare i malesseri dell’Università privatizzandola.
E poi c’è la ricerca e, assieme, l’innovazione. Dobbiamo investire enormemente in ricerca che ci permetta di uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati. I sistemi produttivi devono essere rivoluzionati, inventando nuove tecnologie che risolvano i problemi senza distruggere l’ambiente. Quando abbiamo inventato la plastica sembrava che tutto sarebbe stato più facile, e ora non sappiamo più come rimuoverla dagli oceani! Le tecnologie devono tener conto della natura e del suo capitale.
Un progetto del genere dovrebbe essere alla base di un partito del progresso, un partito che si potrebbe definire “verde”, senza con questo essere un partito conservatore. Già, perché dire no a tutto significa essere conservatori. Ma non essere conservatori non significa sì a tutto. Non sono un integralista del no a tutto e mi attirai le ire di ambientalisti di corta visione quando presi posizione possibilista nei confronti del gasdotto TAP. Per dire no bisogna sapere anche dire sì, fatte salve certe condizioni. E in effetti chi diceva, nel M5S, di poter fermare il TAP in poche settimane ha dovuto rimangiarsi la promessa e chiedere scusa a chi gli aveva creduto. Il sì al gas serve per tamponare la necessità immediata di energia che non venga da carbone e petrolio, e questo sì giustifica il no alle trivellazioni nei nostri mari per cercare, appunto, il petrolio. In parallelo bisogna fare ricerca per sviluppare sistemi di produzione di energia che facciano a meno anche del gas, ora accettato come male minore.
Mi guardo attorno e non vedo soggetti politici che propongano queste visioni. Anche se, a livello internazionale, tutti gli organismi concordano che il riscaldamento globale vada fermato, che non si possa continuare in questo modo. Tutti concordano che l’uso di suolo non possa aumentare ulteriormente, ma poi si propongono nuove costruzioni per alimentare “la crescita”.
Non credo di essere l’unico cittadino ad aver maturato questa consapevolezza. Per fortuna, in Italia, non si vota più in base a ideologie precostituite che portano a scelte che poco hanno a che fare con quello che le formazioni politiche effettivamente realizzano. Ora gli elettori sono più dinamici e non sono più disposti a dare fiducia incondizionata a un simbolo. Vogliono anche sapere chi sono le persone dietro a quel simbolo. Nel periodo berlusconiano si stigmatizzarono i professionisti della politica, dipingendoli come il male assoluto. Ora, con il M5S, rimpiangiamo l’assenza di professionisti della politica. I rottamatori sono stati democraticamente rottamati con il voto. Ma non basta “distruggere” i sistemi che hanno funzionato male, bisogna essere in grado di sostituirli con qualcosa che funzioni meglio. Si prova, e se le cose non funzionano, si cerca “altro”.
Ho delineato sopra cosa sia questo “altro”, per me. Il problema ora è che non so dove trovarlo, perché nessuno me lo propone. E non basta uno che lo proponga, ci vuole una “macchina” che poi lo sappia realizzare. Il PD, alla fine, è una “macchina” di grande esperienza politica, ma manca la visione. Il fondatore del PD, Walter Veltroni, qualche anno fa disse: Il PD ha dimenticato la battaglia per l’ecologia. Quando l’ho sentito mi son detto: per dimenticare una cosa bisogna averla prima ricordata. E non sono riuscito a trovare, nei fatti, le idee ecologiche del PD. I partiti sono i loro elettori. Senza elettori i partiti scompaiono. I partiti devono proporsi ad un elettorato di riferimento, traducendone le istanze ed essendo anche in grado di indirizzarle. Per riconquistare gli elettori perduti il PD dovrebbe far propria la battaglia per l’ecologia e, seguendo l’Enciclica di Papa Francesco, andare incontro alla conversione ecologica. Molti transfughi tornerebbero in quella che consideravano la loro casa e in cui non si ritrovano più. Ma forse sono troppo ottimista, forse ci tornerei solo io….
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di venerdì 1° marzo 2019]