di Gianluca Virgilio
Malik è un giovane africano di diciotto anni, ha gli occhi grandi e profondi e parla poco, solo se interrogato. Da qualche tempo sta seduto al primo banco nella classe seconda della mia scuola e segue le lezioni coi compagni europei un po’ più piccoli. L’altro giorno, nel silenzio interessato della classe, è stato lui a tenere la lezione di Geostoria.
Ha raccontato il viaggio dall’Africa Occidentale all’Europa Meridionale, dalla Guinea all’Italia, le molte tappe dal villaggio dov’è nato alla Sicilia, e poi di qui alla Puglia, nella nostra città. Quattromila chilometri in cinque anni. A tredici anni ha lasciato la madre giovanissima che non poteva mantenerlo – il padre non l’ha mai conosciuto – ed ha puntato a Nord in compagnia di qualche amico, con pochi franchi guineani nelle tasche dei calzoni. Ha raccontato i percorsi interminabili su autobus sgangherati e sovraffollati o su quatre-quatre, nel deserto, le strade sterrate e polverose, le lunghe notti all’addiaccio, le veglie interminabili, attraverso la Guinea e poi il Mali e l’Algeria, i nascondigli e i sotterfugi per sottrarsi ai controlli dei gendarmi d’ogni stato, e infine la Libia, la terribile Libia, dalla quale è miracolosamente scampato. Non ha voluto parlare delle atrocità viste e subite, per quel pudore che provano le vittime a dire, quando non sanno bene se verranno capite. Ha raccontato dei mille lavori saltuari per sbarcare il lunario e per mettere da parte un po’ di soldi, che sarebbero serviti per la fuga dal carcere della Libia, la traversata fortunata su un barcone, tre giorni e tre notti in mare, la paura che il motore della barca si fermasse o che il mare ingrossasse, finalmente l’approdo in Sicilia, le prime cure, l’accoglienza degli italiani ancora umani. Ci ha messo cinque anni per arrivare nella nostra scuola e ora ha una carta di soggiorno per motivi umanitari, valida ancora un anno. Poi, chissà…
Malik parla poco e solo se interrogato. Queste cose gliel’ho quasi estorte con molte domande, mie e dei suoi compagni di classe, tanto che alla fine gli ho chiesto scusa, gli ho detto che non intendevamo sottoporlo a un interrogatorio, ma solo conoscerlo meglio attraverso il racconto del suo viaggio. Lui ci ha sorriso e ha tirato fuori il cellulare e ci ha mostrato una fotografia, che ritrae sua madre, seduta tra due amiche. Sono vestite di mille colori, come sono solite le donne africane per agghindarsi. La madre reca in grembo un bambino di poco meno di un anno. Malik non sa chi sia quel bambino né chi sia il padre; ma certamente – ci ha detto – è un suo fratellino. E’ contento di avere quella foto e di portarla con sé nelle strade dell’Europa.