Il ‘viaggio’ della metafora

di Pietro Giannini

Il ‘viaggio’ di cui si parla nel titolo di questa relazione è duplice:

1) il ‘viaggio’ della metafora come figura retorica;

2) il ‘viaggio’ della metafora nel tempo, sino ai nostri giorni.

 Per quanto riguarda il primo ‘viaggio’, partiamo da un episodio concreto. Qualche anno fa, durante un viaggio in Grecia con gli studenti dell’Università del Salento, mentre in pullman ci spostavamo da Atene verso il nord lungo l’autostrada, fui colpito dalla vista di un autocarro che recava scritto sul fianco μεταφορές. Il termine, che è la forma moderna del plurale antico μεταφοραί, non indicava che l’autocarro era destinato ad un carico di metafore, ma semplicemente identificava una ditta di ‘trasporti’.

Trovavo così attestato in modo casuale il significato originario del vocabolo μεταφορἀ, che nel greco antico ricorre solo in testi tardi: in un papiro del II sec. d.C. si riferisce al ‘trasporto’ del vino. Esso però emerge in epoca classica nei verbi della stessa famiglia semantica. Il verbo μεταφορέω è usato da Erodoto per indicare l’operazione con cui Pisistrato, per purificare l’isola di Delo, disseppellì i morti e li “trasportò” in un altro luogo (1, 64) oppure l’operazione mediante la quale, durante la costruzione delle piramidi, gli Egiziani “trasportavano” da un gradino all’altro la macchina che serviva per sollevare le pietre adoperate per la costruzione (2, 165). Più tardi il verbo μεταφέρω ricorre con lo stesso significato in due passi del Timeo di Platone: in uno si parla degli elementi naturali che “vengono trasportati” ciascuno nel proprio posto (58b); nell’altro si tratta della creazione delle ossa umane, che sono fatte di argilla che il dio “trasporta” ora nel fuoco ora nell’acqua (73e). Per il resto il verbo assume significati derivati dal senso originario, tra cui anche quelli di “trasferire” qualcosa nella realtà, ossia realizzarla (Platone, Timeo 26c), e di “trasferire” un nome da un oggetto ad un altro (Demostene, 20, 120). Insomma, nel IV sec. esiste una base di uso linguistico che prelude alla nascita del significato retorico di ‘metafora’. La cui paternità è da attribuire quasi sicuramente ad Aristotele: infatti, tranne due casi in Isocrate, tutte le occorrenze del termine documentabili nel IV sec. sono appunto in Aristotele, a partire dalla famosa definizione che se ne dà nella Poetica (1457b6): “La metafora è l’ imposizione di un nome estraneo”. E, se qui il termine usato è ἐπιφορά, “imposizione”, la nozione di ‘trasporto’ emerge nel prosieguo della definizione dove si dice che essa avviene “da genere a specie, da specie a genere, da genere a genere…”. La nozione di ‘trasferimento’ è presente anche nella Retorica (1406b6), dove si dice che “nel dare un nome a qualcosa che ne è privo bisogna ‘trasferire’ (μεταφέρειν) il significato non da lontano ma da cose dello stesso genere e della stessa specie in modo che sia chiaro che il termine è dello stesso genere”. Quest’osservazione si riferisce propriamente alla catacresi, ma essa rientra nel quadro generale delle figure basate sulla somiglianza, su cui si fonda la metafora, che, bisogna ricordare, ha in Aristotele un’accezione più ampia di quella assunta nella casistica successiva.

Se vogliamo tornare all’immagine iniziale, possiamo chiederci: che cosa è che ‘trasporta’, ‘trasferisce’ la metafora da un termine all’altro? Possiamo rispondere che essa ‘trasferisce’ la qualità che è comune ai due termini. Ce lo spiega Aristotele stesso in un passo famoso della Retorica in cui parla della metafora canonica che accosta Achille al leone (1406b20 sgg.): “Quando il poeta dice che «Achille si lanciò come un leone» si tratta di una similitudine, quando invece dice «il leone si lanciò» è una metafora: è grazie al fatto che entrambi sono coraggiosi che egli, trasferendo il senso, chiama Achille «leone»”. Il tratto comune che la metafora ‘trasferisce’ è il coraggio.

Ora mi preme mettere in evidenza un altro concetto che Aristotele afferma a proposito della metafora e che io considero essenziale alla sua configurazione: la metafora come fonte di conoscenza. Dice Aristotele nella Retorica (1410b36): “…imparare con facilità è naturalmente piacevole per tutti, le parole esprimono un significato, e di conseguenza tutte le parole che determinano in noi un apprendimento sono le più piacevoli. Le glosse non sono comprensibili, mentre conosciamo già le parole di senso comune. Sono soprattutto le metafore a produrre questo effetto: quando definisce “paglia” la vecchiaia, il poeta crea in noi apprendimento e conoscenza attraverso il genere, poiché entrambe le cose sono sfiorite. Creano lo stesso effetto anche le similitudini dei poeti, e pertanto se esse sono ben costruite, si produce l’espressione brillante. La similitudine, infatti, come si è detto in precedenza, è una metafora che differisce per l’aggiunta di una parola: di conseguenza è meno piacevole, perché è più lunga…”. (trad. M. Dorati).

Comunque, con quanto è stato detto non si vuole affermare che Aristotele ha ‘inventato’ la metafora. Il procedimento era operante fin da Omero ed un poeta come Pindaro ne aveva fatto un uso larghissimo. I suoi epinici sono costruiti su una reta di metafore che risulterà chiara dal “Lessico metaforico pindarico” a cui stiamo lavorando qui a Lecce. In questa sede si vuole dire solo che Aristotele ha ‘definito’ la metafora, le ha dato un nome, seguendo un procedimento implicitamente metaforico. E tale definizione è alla base della nostra concezione della metafora ed anche se essa è stata discussa, contestata, superata, è ad essa che periodicamente si ritorna. Aristotele non ha inventato la metafora, ma il modo di concepirla e di interpretarla. E questo è il suo contributo indelebile alla civiltà europea.

Ora, dopo aver parlato dell’atto di nascita della metafora, vorrei passare a parlare della sua presenza nel mondo attuale, superando d’un balzo 2500 anni di discussioni. Lo farò dopo aver ricordato un’altra idea di Aristotele che la riguarda: che essa è un tratto del linguaggio poetico (Meteorologica, 357a27) e che debba essere usata con parsimonia nel discorso in prosa, come del resto la similitudine (Retorica, 1406b). Partendo da queste premesse, vediamo come la metafora è presente nel discorso contemporaneo. Escludiamo senz’altro la poesia, perché qui essa è, per così dire, di casa. (Per inciso, in questa categoria includo anche le canzonette della musica leggera). Vediamo la sua presenza nel linguaggio ordinario ed in quello giornalistico. Precisiamo che per linguaggio ordinario intendiamo il linguaggio colloquiale, in quanto distinto da quello tecnico, scientifico e filosofico, secondo la definizione del Dizionario italiano di De Mauro.

Nel linguaggio ordinario sono molte le metafore che usiamo, magari inconsciamente. La prima che possiamo citare è quella che individua lo strumento principe della comunicazione odierna: la “rete”, il “web”, che emerge in qualche modo anche nel termine “Internet”. Dello stesso tipo sono la “scrivania” e il “cestino” del nostro computer. E con l’aggettivo “virale” non vogliamo certo indicare un messaggio che ha bisogno di farmaci antivirali. Un’altra metafora molto usata nel linguaggio politico è (o è stata) “rottamazione” (insieme al verbo “rottamare”), per indicare un profondo rinnovamento della classe politica, oppure “ruspa”, per segnalare qualcuno che opera in modo particolarmente sbrigativo. Sempre nell’ambito politico abbiamo sentito espressioni quali “l’avvocato del popolo” (cioè il difensore dei diritti del popolo), “andare a sbattere” (incorrere in conseguenze disastrose ), “metterci la faccia” (assumersi apertamente la responsabilità di qualcosa), “parlare alla pancia” dell’elettorato (fare appello alle sue pulsioni passionali più che alla razionalità), “portare a casa” un risultato (cioè ottenere, realizzare un risultato), “mettere le mani nelle tasche” dei cittadini, per segnalare un prelievo fiscale particolarmente esoso.

Più in generale si dice “mettere gli artigli” per indicare una particolare aggressività, oppure “è scritto nel DNA”, per designare qualcosa che consideriamo connaturato a qualcuno.

Ai fini del nostro discorso è significativo che tutte queste metafore non suscitano in noi nessuna difficoltà di comprensione.

Passiamo ora ai giornali. La loro funzione è quella di informare sui fatti accaduti, quindi da loro ci si aspetterebbe un linguaggio piano e senza fronzoli. In verità, i giornali parlano di fatti largamente noti, dalla Tv o dai social media, e quindi devono indirizzare i loro discorsi verso il commento. Ma, anche in questo caso, dal momento che sono diretti ad un largo pubblico, ci aspetteremmo da loro intenzioni puramente comunicative. Eppure è facile trovare in essi metafore (nell’accezione ampia che ha in Aristotele) o un linguaggio figurato in senso lato. Facciamo qualche esempio desumendolo dal quotidiano La Repubblica. Anche se molte metafore (sottolineate nel testo) sono evidenti, per chiarezza accompagno i testi scelti con un breve commento.

Un luogo privilegiato per la loro presenza sono i titoli, a causa della loro sinteticità. Attingiamo al numero di Repubblica del 9 gennaio scorso, dove si possono leggere questi titoli:

“Scelta giusta (e dietrofront)”: si riferisce al cambiamento di atteggiamento dei partiti di governo rispetto al finanziamento della Banche; allo stesso fatto allude il titolo interno “Retromarcia Lega e 5Stelle”;

“La svolta del premier”: si parla del cambiamento di opinione del premier Conte in merito all’accoglienza dei migranti;

“Le armi ai curdi e il futuro della Siria: Usa e Turchia sono ai ferri corti”: l’espressione indica un forte contrasto o una guerra imminente;

“Germania, la grande frenata; per la Ue è rischio recessione”: la frenata si riferisce ad un rallentamento della congiuntura economica.

Passando agli articoli, presentiamo una breve esemplificazione tratta da articoli di argomento politico. Alcuni riguardano le vicende della Banca Carige. Per brevità ometto il nome degli autori.

“Dunque a raccogliere i crediti deteriorati non ci sarà solo il Sga…che tuttavia resta ampiamente in pole position in questa fase”: resta in posizione privilegiata: la metafora è tratta evidentemente dalla prassi delle corse automobilistiche;

“alleggerire i conti dai crediti difficili facilita il matrimonio”: facilita la fusione con altre banche;

“Ma la strada resta in salita”: l’operazione presenta molte difficoltà.

Passando ad altri argomenti, in un articolo sulle violenze di piazza che si sono verificate in Europa nei mesi scorsi, si può leggere una frase come questa: “I responsabili dei governi…hanno aggravato la situazione cavalcando (cioè assecondando) la democrazia d’opinione…E’ diventato un gigantesco boomerang (cioè si è ritorto contro) perché sono saltati i filtri democratici (cioè le mediazioni proprie della democrazia) “.

Un terreno particolarmente fertile per le metafore è il linguaggio sportivo. Basta ricordare l’esempio di Pindaro che qui non possiamo documentare. Ma anche oggi si possono leggere frasi come queste:

“Quarant’anni sarebbero stati troppi, per un calciatore. Fabio Quagliarella ha dovuto così bruciare le tappe e affrettare un po’ il corso degli eventi, resettando con un lustro d’anticipo il timer della sua seconda vita: sportiva e non, ricominciata quasi da zero e in fondo a un lunghissimo tunnel di rimpianti, momenti di sconforto e tempo perduto”. E’ l’inizio di un elogio di Fabio Quagliarella, apparso su La Repubblica del 2 febbraio scorso sotto il titolo “L’azzurro dopo lo stalker questa di Quagliarella è la storia vera”. E penso che non ci siano difficoltà a cogliere in nel titolo l’allusione alla nota canzone di De André.

E sullo stesso numero, a proposito del rientro di Mandzukic nella formazione della Juventus per la partita Juventus-Parma, si legge:

“Torna in piena tempesta il capitano morale della Juventus, l’equilibratore Mandzukic. Senza di lui il diluvio…Senza di lui s’intasano gli spazi, s’inaridisce la sorgente, si fa più prevedibile il destino”. Si può osservare come qui il linguaggio si arricchisce di tratti iperbolici.

E vi posso assicurare che sono solo esempi scelti ad apertura di giornale.

A conclusione di questo excursus possiamo fare qualche riflessione.

Se consideriamo che gli esempi sono tratti da un giornale che deve tener conto della leggibilità da parte dei suoi lettori, dobbiamo concludere che l’adozione di tale linguaggio non viene considerata un ostacolo ad una ampia fruizione del giornale. Anzi, forse si ritiene che il ricorso a questi strumenti retorici contribuisca a rendere più accattivante e piacevole la lettura.

Comunque, non credo che tale strategia comunicativa risponda ad un consapevole intento di fare ricorso alla retorica. Piuttosto costituisce una maniera di pensare per immagini, che precede in qualche modo l’espressione linguistica chiara e precisa.

A questo proposito possiamo ricordare l’opinione di Giambattista Vico secondo cui la metafora è “la forma originaria del linguaggio: il parlare figurato è anteriore all’esperienza razionale del pensiero, è il risultato della trasposizione di caratteristiche umane alle cose inanimate”. 

Se poi questa opinione ci sembra troppo datata e sbilanciata sul piano diacronico, possiamo citare l’opinione di Max Black secondo cui “il pensiero metaforico rappresenta un particolare modo di ottenere una maggiore comprensione e non è costruito come un sostituto ornamentale del pensiero semplice”. Ed ancora: Pier Marco Bertinetto sostiene che “la metafora «affonda le proprie radici nei meccanismi cognitivi della psiche umana» ribadendo così l’opinione di Aristotele secondo cui la metafora non è ornamento, belletto, ma strumento di conoscenza” (tutte le opinioni citate sono in B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano 1988,  pp. 160, 163 e 165).

Ritorniamo così ad Aristotele ed ai Greci. Se oggi parliamo di metafora come fonte di conoscenza, lo facciamo partendo dalla formulazione di Aristotele.

A conclusione, mi piacerebbe lasciarvi la curiosità per le risorse, anche retoriche, del linguaggio, che bisogna utilizzare in forma attiva, e non solo passiva. Lo si chiede specialmente a coloro, come voi, che usano la lingua ricchi dell’esperienza dei classici. Ci accorgeremo che, parlando o ascoltando parlare, camminiamo per una strada costellata di metafore.

E anche questa è una metafora.

[Relazione letta in occasione della IV Giornata mondiale della Lingua greca, avente come tema “La Grecia viaggia. Il viaggio delle idee”, tenutasi a Lecce il 9 febbraio 2019 (Centro Congressi- Campus Ekotekne, Via Monteroni).]

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