di Ferdinando Boero
ùIl 12 febbraio ricorre il compleanno di Charles Darwin e, per un po’, chi si occupa di biologia, e non solo, ha sentito l’obbligo di celebrarlo, istituendo il Darwin Day. Un ministro della pubblica istruzione, infatti, aveva avuto la brillante idea di togliere l’evoluzione dai programmi della scuola dell’obbligo, innescando una reazione incredula e preoccupata da parte del mondo della cultura. Il provvedimento è rientrato e, quindi, possiamo tranquillamente rimettere l’Origine delle Specie nello scaffale della libreria e darne per scontato il contenuto. Così come diamo per scontata l’affermazione di Galileo riguardo alla terra che si muove attorno al sole.
Però nell’Origine delle Specie c’è anche molta ecologia, e quella non è ancora entrata nella nostra cultura. L’ecologia e l’evoluzione, che assieme fanno la storia naturale, hanno grandi lezioni da insegnarci. Tutte le specie tendono ad aumentare il numero dei loro individui, ci dice Darwin, ispirato da Malthus, ma non tutte possono farlo, perché altrimenti il pianeta non ce la farebbe a contenerle. Alcune, in determinati momenti storici, riescono a crescere e a essere presenti con numeri prodigiosi di individui, ma questi successi durano poco e le specie di grande successo vengono ricacciate indietro da altre che prendono, temporaneamente, il loro posto. I dinosauri hanno dominato il pianeta per milioni di anni e poi si sono estinti. Ora i dominatori siamo noi. Ma il nostro dominio non sarà eterno. Anzi, è proprio il dominio di una specie che ne determina la caduta. Perché col dominio, misurato dal numero di individui, la specie usa in modo intensissimo le risorse che le servono e, a un certo punto, oltre un certo limite, il sistema ambientale che la sostiene non ce la fa più a reggere il suo peso, e crolla. Crolla non significa che finisce la vita. Significa che non ci sono più le condizioni perché quella specie possa prosperare, però ci saranno le condizioni perché altre specie possano ricominciare il gioco. Le grandi estinzioni di massa del passato sono state il preludio di quello che c’è ora (inclusi noi), e quel che c’è ora ha potuto affermarsi perché chi c’era prima ha tolto il disturbo.
Questi strumenti concettuali sono più potenti di ogni altra filosofia e teoria scientifica. Identificano i limiti e ci avvertono che non possiamo pensare che il nostro benessere attuale sia eterno. Se non lo sapremo gestire bene, con intelligenza, adeguandoci alle leggi della natura e cercando di assecondarle, verremo spazzati via dal nostro successo.
Il paradigma della crescita è un imperativo naturale. Tutte le specie tendono ad aumentare. Fa parte del gioco. Ma fa parte del gioco che quelle che aumentano in misura maggiore siano quelle più a rischio. Noi ci siamo fermati alla prima legge (tutto tende ad aumentare) e ignoriamo la seconda.
Darwin ci insegna in modo magistrale questa lezione, e ancora non l’abbiamo capita. Non ha molta importanza per la natura. Non ci sono problemi. Non siamo tanto forti da far morire la natura, sarà lei a toglierci di mezzo se esagereremo. E stiamo esagerando. La specie in pericolo è la nostra, e il nostro successo nella dominazione del pianeta sarà la causa del nostro insuccesso. Se ne stanno accorgendo persino gli economisti che, come Latouche, scrivono libri che predicano la decrescita felice. Benvenuti tra noi. Gli studiosi di storia naturale dicono queste cose da secoli, tacciati di essere Cassandre da perfetti ignoranti che hanno dimenticato che Cassandra non veniva creduta ma che le sue profezie si avveravano puntualmente. Chi chiama “Cassandra” quelli che ci avvertono del pericolo è un ignorante (lo voglio ripetere). Ignora le leggi della natura e ignora persino cosa ci sia dietro la parola Cassandra.
Sono molto restìo ad abbracciare le ricorrenze, perché si fa festa un giorno e poi si dimentica il motivo della festa fino all’anno successivo, come avviene tristemente per lo squallido rito della festa della donna. Ma non è la prima volta che scrivo queste cose sui limiti della crescita: le scrivo sul Quotidiano sin da quando ho iniziato a collaborare col giornale. E altri le scrivono su altri giornali, e su libri. Ma poi continuo a sentire una sola parola: crescita, crescita, crescita. Sono molto preoccupato, e colgo l’occasione del Darwin Day per ribadire la lezione di Darwin. Un grande economista (John Maynard Keynes) scrisse (cito a memoria): è inutile preoccuparsi del lungo periodo, tanto tra cento anni saremo tutti morti. Proprio una bella pensata! Sono passati cento anni, lui è morto, e noi siamo sulle macerie di sistemi economici e di sistemi ecologici in disfacimento, ma ci ostiniamo a voler crescere crescere crescere, invece di pensare a una convivenza più educata tra noi e il pianeta che ci ospita. Ed è ovvio che i maleducati siamo noi. Maleducati e anche un po’ scemi, perché ci ostiniamo a non capire la lezione. Ah, Darwin ha descritto bene un processo potentissimo: la selezione naturale. Chi non si adatta viene spazzato via. Sembra proprio che noi non vogliamo adattarci e pensiamo di essere più forti della natura. Su chi scommettereste, voi, in una lotta tra la nostra specie e il resto della natura? Purtroppo, per molti la risposta è: noi! La natura è il banco in questo gioco, e il banco vince sempre. Sempre. Le vincite dei giocatori sono solo temporanee.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 12 febbraio 2012]