di
di Valerio Ugenti
Il 9 Febbraio si terrà presso l’Università di Lecce, al Centro Congressi di Ecotekne, la IV Giornata Mondiale della Lingua Greca. Nata da un’idea di Ioannis Korinthios, l’iniziativa è stata fatta propria dal Parlamento greco con delibera unanime dell’11 Aprile 2017 e gode del patrocinio dell’UNESCO; in Italia è sostenuta dal MIUR, dalla Federazione delle Comunità Elleniche, dalla Società Filellenica Italiana e dall’Ambasciata di Grecia. L’obiettivo è quello di coinvolgere studiosi, studenti e l’intera comunità culturale in una riflessione sul patrimonio linguistico greco e sul ruolo della cultura greca nella formazione della civiltà europea e non solo.
L’approdo a Lecce è il frutto del dinamismo di tre grecisti dell’Ateneo salentino, Adele Filippo, Alessandra Manieri e Saulo Delle Donne; ma è anche il riconoscimento del prestigio della scuola leccese che affonda le sue origini nell’insegnamento di Carlo Prato, grecista e filologo di levatura mondiale e padre fondatore dell’Università di Lecce.
Ma a far cadere la scelta sul capoluogo salentino ha contribuito in maniera decisiva la vocazione del nostro territorio, collocato in quella che un tempo era la Magna Grecia e che conserva ancora viva, nella cosiddetta Grecìa Salentina, una tradizione grecanica che negli ultimi decenni è stata riscoperta e valorizzata.
La caratteristica fondamentale di questa edizione, che ha per tema La Grecia viaggia. Il viaggio delle idee, è il protagonismo dei giovani. Agli studiosi sono affidate solo la prolusione (prof. Mario Capasso, Presidente del Corso di Laurea in Lettere) e l’intervento conclusivo (prof. Pietro Giannini, prof. emerito di Letteratura Greca), mentre gli interventi sui singoli temi sono affidati a gruppi di studenti dei Licei Classici delle tre province salentine.
Ci si potrebbe chiedere che senso abbia tutto questo movimento intorno ad una lingua morta. Allora bisogna cominciare con lo smontare un mito metropolitano: il latino e il greco classico non sono lingue morte.Per il greco l’ininterrotta continuità tra l’età antica e quella contemporanea non ha bisogno di essere spiegata; ma anche per il latino bisogna avere sempre ben presente che noi parliamo la lingua che Cicerone avrebbe parlato se fosse vissuto ai nostri giorni, perché l’italiano non è “altra” lingua rispetto al latino, ma è solo la veste moderna, evoluta, di quella stessa lingua, come del resto io non parlo né l’italiano di Dante né quello di Manzoni e neppure quello di mio nonno.
La lingua è lo specchio della società: la assorbe, la manifesta, la esprime, si evolve con essa, si arricchisce con il contatto con altri popoli, si stratifica misurandosi con altre culture, conservando comunque un legame solido con la sua origine. Perché io parlo di “ricordare”, se per me la sede della memoria è il cervello e non il cuore? Perché la terminologia musicale in tutto il mondo è italiana? Perché la terminologia medica è greca? Perché la terminologia dell’informatica è inglese (o forse sarebbe meglio dire americana)? Perché nella nostra lingua ci sono tanti arabismi, tanti francesismi, tanti spagnolismi? Lo studio della lingua e delle sue stratificazioni comporta la ricostruzione delle varie epoca della nostra storia. Studiare le lingue classiche, greca e latina, significa allora ripercorrere la nostra storia per usare più consapevolmente la nostra lingua. E badate bene: non temo smentite se affermo che, dopo l’aria, la lingua è lo strumento che adoperiamo di più nel corso di ogni santa giornata. Usarla consapevolmente è importante come respirare correttamente.
Queste riflessioni trascinano con sé un altro interrogativo ancora più importante ed angoscioso: che senso ha parlare di lingua, di storia, di cultura (sottinteso: umanistica) in una società dominata dalla tecnologia e dalla economia? Perché perdere tempo a studiare Platone, quando il dibattito di oggi è imperniato sulle grandi opere, TAV, TAP, ponte sullo stretto, MOSE ed altro? È meglio sudare sui codici di Omero o sapersi collegare con il mondo intero attraverso internet? E nella soluzione dei problemi spiccioli della vita quotidiana mi giova saper citare a memoria Virgilio o conoscere le leggi fondamentali dell’economia? Internet, Impresa, Inglese: questo lo slogan lanciato 18 anni fa dai nostri governanti e mai passato di moda. Su queste basi si costruisce il successo!
Ma qualcosa non quadra. In questo bel quadretto di società tecnologica ed economicistica vedo corruzione, guerre, fame, dissesto ecologico, emarginazione di individui e di interi popoli. Qualcosa non va. Vogliamo fermarci un attimo a riflettere? Perché tutto questo? Qual è la sua causa e quale il suo fine? Dove stiamo andando? Dove vogliamo andare?
Ed ecco nel momento della riflessione rispuntare dalla finestra quelle scienze umane che volevamo cancellare come inutili soprammobili. Ma davvero i soprammobili sono inutili? Non ci danno forse anch’essi il sapore della casa, il gusto della vita? Che sarebbe una casa senza fiori, senza soprammobili, senza quadri? Che sarebbe la vita umana senza musica, senza arte, senza poesia, senza la capacità di riflettere al di là dell’immediato contingente? Può esistere una società senza storia? Lo smemorato di Collegno non è l’uomo felice che si è liberato del suo passato, ma è il povero disgraziato incapace di vivere il presente e di progettare il suo futuro perché ha perso il legame con il suo passato. Non sapendo chi è stato, non sa chi è e non ha basi su cui progettare.
Ecco allora il ruolo dell’umanista che, attraverso la conservazione della memoria delle fasi evolutive della nostra civiltà e quindi attraverso la piena consapevolezza del presente, rappresenta la coscienza critica della società per indirizzarla verso obiettivi razionalmente progettati e che non siano il frutto di un meccanico rapporto di azione/reazione. Sono quelli che, con una parola abusata di cui però non ci vergogniamo, si chiamano i “valori” che devono guidare la nostra azione per darle un senso più alto del semplice navigare a vista.
Ritornando alla lingua ed al suo corretto uso, non ci riferiamo perciò alla cultura parolaia, ma alla cultura animi, alla cultura del logos. Questa parola greca è talmente pregna di significati, la racchiudere l’intera essenza dell’umanità, perché indica la ragione e nello stesso tempo le manifestazioni concrete della ragione (la parola, il discorso, il criterio) che sono tipiche ed esclusive dell’uomo. Nella cultura cristiana il Logos viene sublimato fino a diventare l’essenza stessa di Dio: In principio era il Logos (di solito si traduce il Verbo, ma è traduzione insufficiente perché monca) e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio (Gv 1,1). Pensiamo alla potenza della Parola di Dio che crea il mondo, ma pensiamo anche alla potenza della parola umana che può dare la vita o la morte, scatenare una guerra o promuovere la pace, creare giustizia o ingiustizia.
La cultura umanistica, di cui lo studio delle radici greco-romane costituisce la base ineliminabile, comporta il rispetto, direi la venerazione per la parola nella sua concretezza storica.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di Domenica 3 Febbraio 2019]