di Franco Melissano
Con la sua ultima fatica letteraria (Un dono e altre narrazioni, Edizioni Grifo, Lecce 2018, collana ProsaPoesia diretta da Antonio Resta, copertina di Gabriella Torsello) Luigi Scorrano ci regala dodici stupendi racconti.
Il numero non appare casuale. In tal senso militano alcuni precedenti che inducono a ritenere che negli scritti del noto dantista non vi sia nulla di fortuito, nemmeno per quanto concerne i numeri. Anche la raccolta pubblicata un anno prima (Con un piede nel nulla e altre narrazioni, Edizioni Grifo, Lecce 2017) conteneva, guarda caso, dodici racconti, mentre la bella silloge poetica data alle stampe alcuni mesi prima (Scritture feriali. Poesie 2015-2016, Edizioni Grifo, Lecce 2017) si componeva di cento liriche. Quanto al numero cento, i precedenti sono molteplici e facili da trovare. Per le prose il riferimento è ai mesi dell’anno? Può darsi. O forse vi è un rimando a Vagabondaggio di Giovanni Verga, composto per l’appunto da dodici novelle? oppure ai Dodici racconti raminghi di Gabriel Garcìa Màrquez? Non è dato saperlo. Certo è difficile pensare che si tratti soltanto di un caso.
Anche l’uso del termine “narrazioni” è pregno di significato e risponde ad una scelta ben precisa. Credo che l’Autore intenda sottolineare la natura e la finalità di questi suoi scritti, considerato che l’espressione “narrazione” richiama le più antiche forme di espressione dell’umanità (mito, epica, fiaba), implica sempre una condivisione dell’esperienza di chi narra con l’intera comunità e un collegamento con il retaggio della nostra tradizione culturale. La conferma la troviamo nella breve prefazione, dove Luigi Scorrano, spiegato perché la parola non è affatto in crisi, conclude affermando che “Per narrazioni con certezza e verità gli uomini sempre di più si conoscono”.
Il libro, grazie anche alla nitida eleganza della scrittura e alla ricchezza, mai ridondante, dell’aggettivazione, si legge piacevolmente tutto d’un fiato.
Ancora una volta Luigi Scorrano dissemina nei racconti un’infinità di citazioni che vanno, per fare solo qualche esempio, da Visconti Venosta al Metastasio, da Salvatore Cammarano all’Ariosto, da Leopardi a Sue, senza omettere un fugace accenno all’opera lirica più citata nella letteratura degli ultimi due secoli (“il melodrammatico nome di Edgardo” del racconto L’ospite rinvia chiaramente alla Lucia di Lammermoor). Tuttavia tali citazioni non sono mai dei meri preziosismi fini a se stessi, risultando sempre funzionali alla vicenda e/o allo stato d’animo del personaggio, di cui completano lo scavo psicologico.
La struttura della narrazione è particolarmente intrigante e tiene il lettore sulla corda fino all’ultima parola di ogni racconto. Vi è sempre un enigma e il suo scioglimento avviene – quando avviene – solo alla fine. Ma poi c’è davvero uno scioglimento? Una conclusione?
I racconti non offrono mai delle certezze, mirando piuttosto ad alimentare nel lettore dubbi e riflessioni.
Paradigmatico sotto questo profilo il racconto Perduta nella luce, in cui campeggia la figura di una donna bella quanto misteriosa. Qui Scorrano si avvale con nonchalance di diverse tecniche narrative. Dopo una prima parte “il narratore sospende il suo racconto” e subentrano una sfilza di narratori/testimoni. La narrazione si alimenta quindi di una serie di “impensate svolte” suggerite da tanti “testimoni” che non testimoniano un bel nulla, poiché ognuno di essi racconta/inventa una figura diversa dell’enigmatica protagonista, una circostanza nuova, un particolare che invece di chiarire finisce per complicare ulteriormente il quadro. E il mistero si infittisce. Ma non basta, giacché l’ultima parte è narrata, infine, in prima persona e l’io narrante si dice certo di conoscere la donna del mistero. Perché? Perché l’ha vista “rannicchiata in un raggio di sole”. Dove? “Lontano”, conclude Scorrano. Come lontano è sempre, immancabilmente, il sogno.
A volte la vicenda è ricostruita dall’interno, attraverso la lente soggettiva del personaggio. Così in Giovanna si scalda al rogo, originale ricostruzione della storia e del mito di Giovanna d’Arco.
Ne viene fuori una lettura suggestiva, solo apparentemente confusa, di eventi storici troppo grandi per una giovane inesperta contadina che pure quegli eventi influenza e in gran parte determina.
Tutto trova la sua scaturigine, e la sua conclusione, in un elemento che rappresenta il fil rouge della vicenda: il fuoco. Fuoco del coraggio, della fede, della vittoria, del rogo.
Così ancora avviene nel racconto che dà il titolo alla raccolta, dove sul fatto narrato prevalgono nettamente le considerazioni, i pensieri, i sentimenti che si aggrumano nell’animo della paziente protagonista attorno ad un dono promesso e mai consegnato.
E allora “il dono”, rimasto non a caso sempre vago e indeterminato, diventa ipostasi dell’amore, di una felicità fiduciosamente attesa per una vita e mai arrivata.
In ultima analisi, non un fatto (la consegna del dono), bensì l’attesa di quel fatto e il suo mancato accadimento informano l’intero racconto fino all’epilogo inevitabile di una serena rassegnata accettazione di un destino segnato dalla negazione.
Non mancano i racconti bizzarri ed ironici. Tuttavia, anche questi, necessitano di una attenta rilettura al fine di coglierne i significati più profondi, abilmente nascosti nel flusso della narrazione.
In sintesi, la perfetta padronanza delle più moderne tecniche di scrittura permette a Luigi Scorrano di scavare a fondo nell’animo umano, tratteggiando personaggi indimenticabili e consegnando al lettore dei racconti in cui il mistero insondabile del reale avviluppa le vicende narrate conferendo loro un fascino singolare.
[“Il Galatino”, anno LII n. 2 del 25 Gennaio 2019, p. 3]