di Andrzej Nowicki
Il mio giudizio sulla Controriforma in Polonia è stato sempre (per settantacinque anni) negativo, ma il modo di intendere la sua essenza nel corso degli anni è cambiato. Posso distinguere tre periodi.
Nel primo periodo, anni trenta-quaranta-cinquanta, ingannato dal nome, pensavo che “Controriforma” significasse lotta tra cattolici e protestanti. La mia condanna nei confronti dell’intolleranza, del fanatismo, della violenza e delle atrocità dei cattolici è stata ferma e costante, ma senza eccessiva simpatia per luterani e calvinisti.
Nel secondo periodo, iniziato pressappoco quarant’anni fa, ho inteso la parola “Controriforma” come una maschera del Controrinascimento. Confrontando le interpretazioni di Engels e Nietzsche, sono giunto alla seguente conclusione.
La visione del Rinascimento come grande svolta rivoluzionaria che ha prodotto i giganti del pensiero, sviluppata da Engels nell’introduzione alla Dialettica della natura, rimane fondamentale, ma con due errori da correggere: a) la riduzione engelsiana del Rinascimento al solo Cinquecento va corretta. Nella mia Filosofia del Rinascimento Italiano sostengo che quest’epoca non conta cento anni, ma pressappoco trecento, da Petrarca e Boccaccio fino a Vanini e Galileo; b) l’identificazione engelsiana della Riforma col Rinascimento.
L’Umanesimo quattrocentesco è per me parte integrale del Rinascimento, mentre Riforma e Controriforma, presenti nel Cinquecento e nel Seicento, sono formazioni essenzialmente controrinascimentali.
Accetto l’interpretazione dell’atteggiamento di Martin Luther fatta da Nietzsche, il quale giustamente vide nel padre della riforma il grande nemico del Rinascimento. Lutero aveva accusato la chiesa cattolica di favorire il Rinascimnento paganizzando in tal modo il Cristianesimo.
In tale ottica il Concilio di Trento costituisce una vittoria di Lutero, perché la chiesa cattolica – per purgarsi da queste accuse – decise di distruggere la cultura rinascimentale in letteratura, filosofia, scienza e pittura.
Ne consegue il mio giudizio negativo sulla Controriforma, che non riguarda la difesa della chiesa cattolica da Lutero, ma di aver condiviso le accuse luterane al Rinascimento e di averlo perciò combattuto.
Tale interpretazione mi ha indotto a riesaminare il mio giudizio sulla chiesa cattolica del Quattrocento e dei primi decenni del Cinquecento. Di qui il terzo periodo nella storia dei miei rapporti col concetto di Controriforma.
Se l’accusa di Lutero alla chiesa cattolica di favorire il Rinascimento fosse vera, nel senso che pontefici, cardinali, vescovi avevano protetto umanisti, poeti, scrittori, pittori, scultori, architetti ed altri uomini di cultura, non potrei che esprimere tutto il mio rispetto. La condanna della Controriforma implica una rivalutazione della chiesa precedente nella misura in cui essa aveva creato biblioteche, favorito studi, manifestato tolleranza e tendenze irenistiche. Ma ciò implica una condanna più severa del Concilio di Trento.
Pur riconoscendo alla chiesa il diritto di difendersi da luterani e calvinisti, non posso assolverla non solo dai crimini delle persecuzioni antirinascimentali (rogo di Giordano Bruno, processo a Galileo, iscrizione del De revolutionibus di Copernico – e di migliaia di altri libri – nell’Indice dei libri proibiti) ma neppure dal tradimento delle proprie tradizioni quattrocentesche, benevole al Rinascimento.
Tornando a Tamborra e ai suoi studi della politica dell’est europeo nel Cinquecento, dobbiamo approfondire altri due difficili problemi.
Il polacco Warszewicki, trentenne, entra nell’attività politica e diplomatica “in un momento decisivo per lo Stato polacco, quello rappresentato dal passaggio da un regime di monarchia ereditaria a quello di monarchia elettiva” (Tamborra, Krysztof Warszewicki e la diplomazia del Rinascimento in Polonia, Roma, 1965, pag. 161). Che cosa sia “monarchia ereditaria” lo sappiamo, ma il concetto di “monarchia elettiva” fu nel Cinquecento europeo una novità “rinascimentale” che pretendeva risuscitare in Polonia una repubblica antica di Scipioni, Catoni e Ciceroni.
“Mentre in Europa – scrive Tamborra – ad occidente come ad oriente della Polonia, si gettavano ormai le basi dell’assolutismo regio, sul suolo polacco si stava compiendo un ulteriore passo innanzi verso l’affermazione di una respublica nobiliaris” (pag. 161).
Studiando la storia delle lotte ideologiche, sociali, politiche, è difficile mantenere una posizione di indifferenza. Certe persone e la loro attività suscitano la nostra simpatia, altre la nostra antipatia, e, dimenticando che viviamo in un altro secolo, sentiamo il bisogno di impegnarci, di difendere i valori che condividiamo, di partecipare alla lotta per una causa giusta. Del resto, se voglio giudicare l’attività politica svolta da Warszewicki, devo prima rispondere a me stesso e dirmi quale sarebbe stato il mio impegno nelle lotte politiche in Polonia nella seconda metà del Cinquecento.
Esistono situazioni storiche nelle quali la scelta del nostro posto è facile, altre ci rendono perplessi. Confesso di aver cercato di risolvere questo problema fin da bambino, ma dopo otto decenni, non sono arrivato ad una certezza soddisfacente. Tra tanti dubbi ci sono anche alcuni punti fermi. Due su tutti: 1) Astraendo dalle situazioni concrete, sono stato sempre per la repubblica e contro la monarchia; 2) considero, da sempre, che la successione jure sanguinis è assurda, ma se monarchia deve essere preferisco quella elettiva.
[“Presenza tuarisanese” anno XXXVII n. 1/2 – Gennaio/Febbraio 2019, p. 6]