di Ferdinando Boero
Direttore Generale, a chi la scelta?
Leggo sul Quotidiano che il Rettore Zara vuole scegliere il Direttore Generale dell’Università del Salento e si contrappone in qualche modo al Consiglio di Amministrazione sui criteri di scelta. Non ho votato per Zara, perché lo ritenevo espressione dell’Amministrazione precedente, però quando ha ragione… ha ragione. Il Direttore Generale è il braccio amministrativo del Rettore. Il Rettore deve esprimere la visione politica della gestione universitaria, e il Direttore Generale la deve mettere in atto, rendendola operativa. Ci deve essere un rapporto di totale fiducia tra i due, ed è impensabile che non sia il Rettore a sceglierlo. Poi, se la scelta è sbagliata, il Rettore ne deve trarre le dovute conseguenze. Se non ricordo male, avvenne la stessa cosa nell’Amministrazione precedente a questa. Il Rettore propose un nome, qualcuno lo trovò discutibile, ma il Rettore pose la fiducia e gli fu dato il Direttore Generale che voleva. Poi, a seguito di registrazioni di colloqui, si accorse di aver sbagliato e accusò di tradimento il Direttore Generale che così fortemente aveva voluto. C’è una causa in corso e se il ricorso del Direttore Generale sarà accolto, l’Università del Salento dovrà risarcirlo con seicentomila euro. Perché il Rettore, accortosi del “tradimento”, praticamente lo costrinse alle dimissioni, da qui il ricorso. Caso strano, però, visto che la scelta era stata sua, e sua era la responsabilità della persona prescelta, non si dimise. La fiducia richiesta era stata ovviamente mal riposta. Poi fu la volta di Zara ad essere accusato di tradimento da un anonimo esponente dell’Amministrazione precedente, escluso dalla rosa dei delegati. E Zara parlò di intimidazioni mafiose.
Assistere a tutto questo mi amareggia profondamente. Vedo parlare della mia Università solo per riportare storie di veleni, usando un termine molto abusato sulla stampa. L’Università del Salento è il posto dove i giovani salentini formano il proprio futuro. E’ un centro di produzione di conoscenza che, in alcuni campi, ha rilevanza internazionale. La ricerca universitaria è il miglior qualificatore della didattica universitaria. I professori universitari, infatti, sono chiamati a dare contributi originali alla disciplina che insegnano e, qui all’Università del Salento, ci sono fior fior di ricercatori che, nel mondo, portano lustro all’istituzione in cui lavorano. E’ la ricerca di alto livello che qualifica un’Università, diventando garanzia di ottima didattica. Invece di parlare di questo, però, i giornali parlano di “veleni”, e sembra, oramai sin dai tempi di Oronzo Limone, che presso questa Università sia in atto un gioco al massacro, con guerra tra bande, per accaparrarsi il “potere”. Non è così. Il gioco al massacro c’è stato, la corsa agli appalti c’è stata, ma non si può ridurre questa istituzione a queste tristi vicende. L’importanza dell’istituzione universitaria fa gola a gruppi di interesse (trecento milioni di appalti edilizi potrebbero essere qualcosa di appetibile) e sarebbe strano se, proprio in questo caso, non ci fossero lotte per l’accaparramento dei fondi con metodi più o meno trasparenti. In Italia succede praticamente sempre. Ma queste sono contingenze. Non esiste Università dove queste cose non avvengano e non siano avvenute. Non è mandando i figli a Roma o a Padova che si troverà un ambiente senza lotte intestine. Queste cose squalificano un’Università, e a queste cose è probabilmente dovuto il calo di iscrizioni che ci affligge. I mezzi di informazione inseguono le notizie e le comunicano alla popolazione. E’ il loro dovere. E comprendo che la notizia del cane che morde il bambino non sia interessante, mentre è interessante se il bambino morde il cane. Ma poi corriamo il rischio di far percepire i bambini come esseri pericolosi. A fronte di una notizia “velenosa”, che getta discredito sull’istituzione universitaria, ce ne sono cento di virtuose e positive, che illuminano la figura di questa istituzione e che devono rassicurare le famiglie sulla qualità che offriamo. Se questo non traspare dalla percezione di questa Università da parte dei media, di sicuro la colpa è dell’Università che, inspiegabilmente, non riesce a valorizzare a sufficienza il patrimonio di conoscenza e di saggezza che contiene. Far valere i nostri meriti, prima di tutto attraverso l’eccellenza scientifica, è una sfida che dobbiamo raccogliere. Perché abbiamo tutti i titoli per attirare studenti, e non solo dal Salento. In molti campi la nostra Università ha assunto un livello internazionale, universalmente riconosciuto. Ma pare che quel che vedono qui dal resto del mondo non sia “visto” da chi vive qui. Dobbiamo essere orgogliosi di questa Università e dobbiamo difendere la sua reputazione. La reputazione è quello che gli altri dicono di noi. Ci sono sempre quelli che sparlano, ma la verità deve venire a galla. Ci sono le valutazioni, ci sono i risultati delle ricerche, il successo nella progettualità, i rapporti internazionali. Questa è la base su cui si fonda una ottima didattica. Abbiamo queste credenziali. Facciamole valere. E che il Rettore sia libero di scegliere il suo braccio destro. Sperando che poi sia responsabile della sua scelta sino in fondo. Per come lo conosco, sono certo che lo sarà e che le spiacevoli vicende del passato siano oramai dietro le nostre spalle. Guardiamo avanti.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di sabato 30 maggio 2015]
Più fondi alla ricerca, ma anche severissime valutazioni
L’analisi di Guglielmo Forges Davanzati pubblicata martedì sul Quotidiano [leggila cliccando qui] mi trova perfettamente d’accordo: occorre investire di più in ricerca, soprattutto al Sud. Concordo anche sull’analisi che vede nella presenza di imprese di ridotte dimensioni la causa del mancato assorbimento nel mondo del lavoro di chi produce nuova conoscenza. Una piccola impresa non ha le risorse per finanziare ricerca di alto livello. Purtroppo, a quanto pare, neppure le imprese di grandi dimensioni. In passato è già stata percorsa la strada di mettere a disposizione dei poli industriali di Brindisi e di Taranto un centro di ricerca di altissimo livello. Mi riferisco al Pastis di Mesagne che, nelle intenzioni di chi lo costruì, doveva fornire conoscenza alle industrie delle due città salentine, visto che in nessuna erano presenti centri di ricerca industriale. Sappiamo come è andata a finire: il Pastis è miseramente fallito. Non bastano i fondi per innescare processi di rinascita di un territorio. Pare stia andando meglio con l’aerospaziale, e anche con le nanotecnologie: si tratta di settori importantissimi che, però, rappresentano solo una parte delle potenzialità che il nostro territorio ha da esprimere. E la ricerca, è bene ricordarlo, non è solo applicata e, quindi, al servizio dell’industria.
La ricerca di base è il motore dell’innovazione, inclusa la ricerca nelle cosiddette discipline umanistiche che, purtroppo, sono il principale serbatoio di disoccupazione tra i nostri laureati.
L’Università del Salento, nell’ultimo decennio, ha visto arrivare una pioggia di milioni, centinaia di milioni, destinati all’edilizia e i cantieri procedono alacremente alla costruzione di importanti infrastrutture. Come già successe in passato per il Pastis. L’unico modo per non costruire altre cattedrali nel deserto sarà di utilizzare al meglio queste opportunità, utilizzando le infrastrutture non solo per la didattica universitaria ma, soprattutto, per la ricerca avanzata. E qui torniamo agli investimenti in ricerca. Le infrastrutture che stiamo costruendo sono come magnifiche Ferrari. Per guidarle ci vuole la patente, e ci vogliono i soldi per la manutenzione, il carburante, i pezzi di ricambio, l’assicurazione.
Macchine di questa levatura non possono essere utilizzate per andare a far la spesa al supermercato. Bisogna farle correre, senza che ci si schianti dopo qualche curva (vedi il Pastis e altre imprese fallimentari analoghe). I fondi per tutto questo, oggi, sono in Europa. L’Italia contribuisce in modo molto sostanzioso ai fondi europei destinati alla ricerca, ma la progettualità italiana ne riporta in patria solo una parte, il resto va a sostenere la ricerca di altri paesi. Non sto parlando dei fondi europei distribuiti a livello regionale, sto parlando dei miliardi messi a disposizione da Horizon 2020, per i quali si compete con tutti gli altri paesi dell’Unione. In queste competizioni siamo spesso perdenti, oppure svolgiamo ruoli ancillari e non di coordinamento.
Manca, infatti, una strategia italiana nei confronti dei bandi europei e continuiamo a perdere occasioni di rilancio delle nostre strutture di ricerca. Le Università, in particolare, vista la necessità di coprire tutte le branche del sapere, raramente hanno la massa critica, nei vari settori della conoscenza, per esprimere forti gruppi di ricerca che siano competitivi in campo europeo. Proprio come le Piccole e Medie Imprese, anche le Università dovrebbero consorziarsi e acquisire una dimensione che le faccia uscire dal provincialismo in cui molte sono sprofondate a causa di una scellerata politica di reclutamento che ha chiuso la strada agli scambi tra Università e che ha spesso favorito promozioni “interne” che hanno spinto all’emigrazione molti giovani eccellenti.
Più fondi alla ricerca, quindi. Ma anche severissime valutazioni sui risultati degli investimenti. Il sistema della ricerca italiana, purtroppo, è molto negativo nei confronti delle valutazioni e trova mille cavilli per evitare che l’operato dei ricercatori sia sottoposto a giudizi di qualunque genere. Concordo nella necessità di migliorare gli attuali criteri di giudizio e eccomi qua a proporne uno bello nuovo. Che i ricercatori rispondano ai bandi europei, presentando progetti in cui, ogni volta che sia possibile, il coordinamento sia italiano. Chi vincerà i bandi europei porterà risorse verso il nostro paese, ma anche chi avrà buone valutazioni alla propria progettualità, anche senza necessariamente vincere i bandi, avrà dato prova di proporre ricerca di valore. Entrambe le categorie dovranno essere incentivate a fronte dei risultati ottenuti. E non ci saranno più giustificazioni per chi non presenterà progetti o per chi avrà valutazioni particolarmente negative. Voglio ripetere, a scanso di equivoci, che non mi riferisco ai fondi europei distribuiti a livello locale, sui cui risultati sarà prima o poi il caso di effettuare attente valutazioni. Perché di soldi ne sono stati distribuiti molti e i risultati spesso non si sono visti. Per non parlare degli investimenti nella cosiddetta “formazione”.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di giovedì 20 agosto 2015]
Che cos’è un’Universitas
Questioni cruciali come i finanziamenti alla ricerca scientifica, sollevate da Guglielmo Forges D’Avanzati e un pochino anche da me, non si risolvono nello spazio di un articolo sul giornale. Ma la tribuna offerta dal Quotidiano è strumento primo di trasparenza e mi permetto di utilizzarla ancora. Nel mio intervento precedente ho parlato di massa critica e di Università. Per chi non ha molta familiarità con il sistema universitario, è bene ricordare che la parola “universitas” implica la copertura dell’universalità del sapere. Il sapere è contenuto fisicamente, oltre che nelle biblioteche e nella rete, nei cervelli dei docenti. Il sapere universale, una volta contenibile in un singolo cervello (tipo quello di Pico della Mirandola), è oggi suddiviso nelle varie branche della conoscenza e, in ogni Università, queste sono rappresentate dai docenti che insegnano le materie dei vari rami del sapere che, nel nostro paese, si chiamano settori disciplinari. A differenza dei professori di liceo, i professori universitari devono contribuire, con le loro ricerche, allo sviluppo delle conoscenze che insegnano. I prodotti della ricerca sono di solito le pubblicazioni scientifiche o, se si fa ricerca tecnica, i brevetti. La qualità della ricerca di un docente universitario, quindi, si misura con quel che produce in termini di nuovo sapere e lo mette a disposizione degli altri, pubblicandolo. Ci sono docenti universitari che insegnano soltanto, e non producono scientificamente. Le ricerche di quelli che producono possono avere rilevanza locale, oppure provinciale, regionale, nazionale, fino alla rilevanza internazionale. Il valore di un’università si misura con il rilievo dei suoi docenti. Nient’altro. Oxford e Cambridge non sono famose perché hanno begli edifici, o perché ci sono corsi in tutte le branche del sapere. Sono famose perché i professori vincono premi Nobel, oppure perché, se uno (o una) vince un premio Nobel, viene conteso dalle università migliori che, in effetti, sono le migliori perché hanno i docenti migliori. Per diventare “i migliori” si deve fare ricerca e per fare ricerca ci vogliono fondi. E oramai la ricerca si fa mettendo assieme molti “cervelli”. Le piccole Università non possono assumere troppi docenti in una disciplina, perché questo sarebbe di svantaggio per le altre che, di fatto, non sarebbero rappresentate. Ecco che significa “massa critica”. Ci vuole un numero minimo di cervelli per fare un gruppo di ricerca competitivo a livello internazionale, un gruppo che possa collaborare alla pari con altri gruppi analoghi. Un’Università come quella salentina non si può permettere di eccellere in ogni branca del sapere. Poche sono in grado di farlo. Pochissime. Neppure Roma Sapienza, la più grande Università italiana, esprime ricerca di prim’ordine, e ha massa critica, in tutte le branche del sapere.
Le politiche di reclutamento italiche non permettono alle Università di attirare professori che si sono fatti valere altrove perché i budget non sono adeguati e non c’è molto da offrire a personaggi già affermati. I “campioni” si devono formare all’interno del proprio “vivaio”. E già, sembra la politica delle squadre di calcio. Le squadre ricche riescono a formare magari un buon portiere ma, se non hanno un attaccante, hanno i soldi per comprare il migliore del mondo. E così per tutti gli altri ruoli. Per nostra fortuna, le Università non giocano con tutte le discipline assieme. E un’Università può scegliere di eccellere in qualche campo, mantenendo anche gli altri, ma ad un livello differente. La Bocconi, addirittura, eccelle in pochissimi campi e gli altri proprio non li copre. E quindi vi svelo un segreto: non è un’Università. Esprime una o due ottime Facoltà. Tutte le altre mancano. Non c’è “universitas”, universalità del sapere. Un’Università può decidere di investire per diventare la migliore in un campo, mantenendo in vita gli altri di livello inferiore. Come si fa? Semplice: si costruiscono grandi infrastrutture e si assumono molti docenti nei settori disciplinari in cui si è deciso di eccellere. Ma non basta. Gli investimenti devono dare risultati. I docenti, per esempio, devono avere una produzione scientifica eccellente, e devono attirare, attraverso i bandi competitivi, cospicui finanziamenti, risultato dell’eccellenza delle loro ricerche. Ora la domanda è: dopo cinquant’anni, è possibile fare un bilancio e capire “dove è andata” la nostra Università? Quanto abbiamo investito nelle varie branche del sapere? Che risultati ci sono stati? Si chiama valutazione. E non può essere fatta dagli stessi che sono valutati. Bisogna chiamare personaggi eccellenti a livello mondiale nelle varie branche del sapere e chiedere: a che livello siamo, nella tua disciplina? Abbiamo investito X e abbiamo ottenuto Y. C’è coerenza tra l’investimento e il risultato? In quali discipline siamo risusciti a primeggiare? In quali abbiamo fallito? In base a questi risultati si deve decidere la politica futura. Sapete perché queste cose, così logiche, non si fanno? Perché per farlo ci vuole una decisione a maggioranza, e la maggioranza non lo vuole fare. Valutazione e democrazia collidono. E’ un paradosso. Se siamo cinque a condividere una casa, e si deve pagare l’affitto, potremmo votare per decidere chi deve pagare. Se quattro si mettono d’accordo e votano che sia il quinto a pagare, e questo succede ogni mese, è democrazia? Ogni Università deve decidere “dove vuole andare” e non lo può decidere con la logica delle mani alzate. Deve prevalere il merito. Se non lo faremo, la decadenza sarà inevitabile, e … meritata!
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di lunedì 24 agosto 2015]
Difendiamo la nostra Università
Riuscite a concepire Lecce senza la sua Università? Credo che nessuno si possa augurare che scompaia o che sia ridimensionata. Il ridimensionamento è in corso: calano le iscrizioni. Se si iscrivono meno studenti diminuisce il bilancio. Parlo con colleghi del nord e mi dicono che le loro Università sono piene di salentini. Si sorprendono, perché sanno quanto vale il nostro Ateneo. Apparentemente non lo sanno i salentini. La nostra reputazione è quello che gli altri dicono di noi. Molte tristi vicende ci hanno coinvolto e hanno ricevuto il disonore della cronaca. Dalla defenestrazione di un Rettore, alla rimozione di un Direttore Generale, all’inizio della gestione attuale con una dichiarazione del Magnifico Rettore che denuncia come “minacce mafiose” le dichiarazioni di appartenenti all’amministrazione precedente. Professori eminenti, come Roberto Cingolani, se ne sono andati. E ora un professore della nostra Università è capobanda di un’organizzazione criminale. Che sia un nostro professore riceve molta evidenza, danneggiando la nostra immagine. Questo dicono di noi i giornali, in prima pagina. Le notizie riguardanti i traguardi qualitativi raggiunti sono relegate nelle pagine interne. Queste percezioni influenzano i giovani che decidono dove iscriversi.
Il Ministero chiede alle Università, con la Terza Missione, di divulgare i propri risultati e attività presso il grande pubblico. La prima missione è la didattica, la seconda è la ricerca. In tutto il mondo, la reputazione delle Università si basa sull’eccellenza scientifica dei professori. Gli edifici e la copertura dei corsi sono necessari, ma non sufficienti. E’ chi fornisce la conoscenza (i professori) ad essere importante. La reputazione dei professori universitari si basa sulla loro ricerca. Tra poco la ricerca italiana verrà valutata, ed è sui risultati delle valutazioni che dobbiamo puntare. Certo, gran parte del budget deriva dal numero di studenti, ma il numero di studenti aumenta se la reputazione dell’Università è alta. All’inizio della nostra storia abbiamo fondato l’Università dal nulla. Ma ora non si può pensare di continuare a sfornare nuovi corsi di laurea senza un solidissimo substrato scientifico che garantisca che non saranno un semplice esamificio. Il substrato è definito dalla valutazione della ricerca. Senza questo presupposto è velleitario proporre nuovi corsi di laurea o addirittura nuove facoltà, magari richieste a furor di popolo. Rimasi scioccato quando fallì il Pastis, il centro di ricerca tecnologica di Mesagne. Arrivarono i soldi per costruire gli edifici e per comprare le macchine, ma evidentemente il capitale umano non fu all’altezza delle aspettative, visto come sono andate le cose. Quella del Pastis non è l’unica esperienza di questo tipo. Se si aggiunge la cronaca, diventa chiaro perché molti salentini vadano verso altri Atenei. A tutto questo dobbiamo porre rimedio. E abbiamo bisogno degli stimoli e dell’aiuto di tutto il Salento. Vorrei vedere una conferenza di Ateneo che risponda a queste domande: Quali sono le aree tematiche in cui la nostra Università eccelle a livello internazionale? Quali sono quelle in cui la rilevanza è nazionale? Ovviamente in base ai criteri di valutazione ministeriali. Dopo 50 anni è necessario un bilancio, per capire dove siamo arrivati e dove abbiamo le carte in regola per progredire, e lo dobbiamo mostrare a tutti, con orgoglio, disciplina per disciplina. Il tempo delle improvvisazioni è finito. Questa è la base su cui costruire la didattica. Il merito non si divide a pioggia. Le valutazioni dei docenti ci dicono chi ha ben lavorato ma anche chi è al di sotto del livello qualitativo per far parte di commissioni di concorso. In un sistema democratico, se che è sotto gli standard qualitativi ha la maggioranza, vince. Vittorie di Pirro. Sono finiti i tempi dell’improvvisazione e del pressapochismo. Possiamo attirare moltissimi studenti, ma quando il bluff viene scoperto gli studenti se ne vanno. Dobbiamo ricostruire la reputazione della nostra Università, evitando che si parli di noi in cronaca e facendo in modo che, invece, si parli molto di noi per i risultati delle nostre ricerche e per la didattica avanzata che su di esse si basa. Questo ci deve chiedere il territorio. Non bastano soldi, edifici, strumenti. Ci vogliono le persone, e se le risorse vengono date senza tener conto del merito il fallimento è assicurato. Le tristi vicende attuali, e quelle del passato, devono essere uno stimolo per finalmente valutare quel che abbiamo realizzato e, come chiedono il nostro Statuto e il Ministero, incentivare il merito. Mostrandolo a tutto il nostro bacino di utenza che, è bene ricordarlo, è tutta l’Europa e il bacino del Mediterraneo. Solo questo potrà neutralizzare l’impatto reputazionale degli incidenti di percorso che ci stanno danneggiando ben al di là del loro effettivo rilievo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di venerdì 18 settembre 2015]
Il futuro dell’Università del Salento
Oggi ci sarà la Conferenza di Ateneo, al Centro Congressi di Ecotekne, e si parlerà delle future opportunità nei settori di più forte richiamo territoriale. E’ un’occasione importante di confronto e di sviluppo di proposte. Si sta parlando di attivare nuovi Corsi Laurea, e nuove Facoltà. Agraria è una di queste novità. Ho scritto molte volte sul Quotidiano che la vocazione del Salento si basa su tre importanti risorse: il patrimonio naturale, il patrimonio culturale, e la produzione agricola di alta qualità. E Agraria si riferisce a questa terza risorsa. Per le altre due abbiamo Scienze Ambientali e Scienze Biologiche, e Beni Culturali. Manca Agraria. Le recenti vicende che hanno visto i nostri olivi minacciati da Xylella hanno sollevato ancora una volta la questione di Agraria che, molto tempo fa, Giovanni Pellegrino, da Presidente della Provincia di Lecce, aveva più volte stimolato, nel disinteresse generale. Ora pare che i tempi siano maturi. Una proposta del genere deve essere, però, accuratamente pianificata. I recenti investimenti edilizi, che assommano a centinaia di milioni di euro, hanno dotato la nostra Università di grandi e moderne strutture che si affiancano a quelle già esistenti. Ma il successo di un’impresa si basa, prima di tutto, sul capitale umano. Le cose non sono fatte da macchine e da edifici, sono fatte da donne e uomini. Il sistema universitario è stato valutato da un’Agenzia Nazionale di Valutazione, e presto saremo di nuovo valutati. Da queste valutazioni è scaturito, e scaturirà, in quali settori l’Università del Salento ha preminenza a livello nazionale. Non sono molti, ma ci sono. Il successo nel coordinamento di Progetti di Rilevante Interesse Nazionale e di Progetti Europei è un altro misuratore della qualità del nostro capitale umano, assieme al successo nelle recenti abilitazioni per progressioni di carriera. La didattica universitaria si basa su solida ricerca. In questo si distingue un professore universitario da un professore di scuola media superiore. Ai professori universitari viene chiesto di dare contributi originali alle discipline che insegnano. Per rispondere alle richieste del territorio ci deve essere una solida attività scientifica che sia alla base della didattica. L’esistenza di questa base si evince dalle valutazioni e dal successo nelle chiamate progettuali nazionali e internazionali. Senza questo requisito si lanciano corsi basati esclusivamente sulla didattica. Nella sua oramai sessantennale esistenza, la nostra Università ha spesso intrapreso vie nuove senza avere i requisiti scientifici, nella speranza di costruirli in seguito. E’ stato inevitabile. Ma non siamo più nella stagione pionieristica. Non possiamo continuare così. Un tempo le valutazioni non c’erano. Ora ci sono. Occorre preparare progetti di nuovi Corsi di Laurea e Facoltà che siano coerenti con il nostro capitale umano. Se questo fosse insufficiente, dobbiamo sapere che sarà necessario richiamare qui un nutrito gruppo di docenti provenienti da altre Università e di dar loro la possibilità di sviluppare qui le loro discipline. Nei “tempi eroici” molti docenti di altre Università sono venuti qui per fare carriera, per poi tornarsene nelle Università di provenienza, senza costruire gran che. Questo non è più pensabile. Operare oggi con lo stile di ieri ci porterà ad essere un’Università a vocazione didattica, non basata su solidi presupposti scientifici. Nel lungo termine questo non sarà un bene, indipendentemente dal numero di studenti che riusciremo ad attirare nel breve termine.
Il Salento ha una fortissima reputazione di qualità. Lecce è una città bellissima, vivace. Il costo della vita non è paragonabile a quello di grandi città universitarie. Un obiettivo della nostra Università potrebbe anche essere di attrarre qui studenti da tutta Italia, per seguire corsi di alta qualità, basati su un capitale umano (i docenti) di solida reputazione scientifica. Niente di male se i salentini mandano i loro figli a studiare nelle Università dove pensano di trovare alta qualità, se questa manca a livello locale. Il contrappeso deve essere che qui devono venire, da tutta Italia e anche dall’estero, quelli che sanno che qui troveranno alta qualità. E la qualità di un’Università non si misura dagli edifici e dalla copertura dei corsi. Si misura dalla rinomanza dei suoi docenti in campo scientifico. Le ragazze e i ragazzi che vengono qui, da tutta Italia, a passare le loro vacanze devono essere attirati qui anche per costruire la propria formazione universitaria.
Occorre valorizzare al massimo quel che già di buono viene fatto nella nostra Università e occorre pianificare attentamente le nuove offerte didattiche, basandole su solidità scientifica.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di giovedì 1° ottobre 2015]
La bocciatura di Agraria e di Scienze Motorie
Il CURC boccia Agraria e Scienze Motorie. Avremmo dovuto prevenire questa mossa. Non ci si presenta all’esame con una scarsa preparazione, si corre il rischio di bocciatura. Poi si può sempre dar la colpa al professore, ma intanto la bocciatura c’è stata.
Ho qualche domanda a cui non riesco a trovare risposta. Ci stanno diminuendo il budget, e non abbiamo fondi da investire in nuovi posti di ruolo, per sostituire chi va in pensione. Avremo difficoltà a mantenere i corsi che abbiamo, però ne proponiamo di nuovi. Pare che le proposte siano state bocciate perché non ci sono docenti di ruolo in numero sufficiente a garantire il normale svolgimento dei corsi e si confida troppo in docenti “esterni”. Come avremmo fatto a mantenere i nuovi corsi? Avremmo smantellato quel che abbiamo costruito e avremmo usato i budget lasciati liberi dai pensionamenti per sostenere le nuove proposte? Se ci sono stati investimenti in direzioni che hanno fruttato poco in termini di produzione scientifica e di prestigio per la nostra Università, sarebbe meglio rivedere la rotta. C’è la valutazione ANVUR a dirlo. E il successo nei progetti europei e nazionali, e anche nelle abilitazioni a ruoli superiori. Dobbiamo valorizzare quel che di buono abbiamo realizzato. Continuo a chiedere: quali sono le aree in cui l’Università del Salento ha raggiunto livello internazionale? E poi, se vogliamo aprire nuovi corsi possiamo attingere agli elenchi degli abilitati nei recentissimi concorsi valutativi. Chiamiamo il meglio e rubiamolo alle altre Università! E prepariamo corsi di laurea competitivi fin da subito. Solo la qualità paga, non c’è altra strada. Non siamo più negli anni cinquanta: chi ambisce a conseguire una laurea vuole avere il meglio, si informa, e va dove l’offerta formativa è migliore. Non possiamo offrire corsi di “parcheggio”, il famoso esamificio che dà pochi sbocchi. Trovo ottima l’idea di un corso di Comunicazione Istituzionale. Oramai ogni progetto europeo ha un pacchetto di lavoro dedicato alla comunicazione. E all’Università si chiede la terza missione che, tra l’altro, comprende la comunicazione. Mi sento di suggerirne un altro: Confezionamento e gestione di progetti europei. Abbiamo un preoccupante deficit di successo nell’ottenimento dei fondi europei. E quando li otteniamo spesso poi non li spendiamo adeguatamente. Ci vogliono professionisti per questi ruoli. E’ difficilissimo ottemperare agli adempimenti burocratici imposti dall’Unione Europea, e non solo. La vessazione burocratica nei confronti del mondo produttivo è spaventosa. Certo, la soluzione sarebbe di semplificare. Ma pare che questa battaglia sia perduta. E quindi almeno formiamo persone che siano in grado di gestire le pastoie burocratiche che ci impediscono di lavorare in pace. Magari riusciranno persino a semplificare le procedure.
Gli uffici degli istituti di ricerca e di tutte le amministrazioni pubbliche trarrebbero enormi vantaggi dal dotarsi di esperti di questo tipo.
Ho parlato diverse volte a favore della Facoltà di Agraria, ma ho detto altrettante volte che non si possono improvvisare proposte del genere. Bisogna avere un corpo docente formidabile per dare garanzie di alta qualità ai nostri studenti, fin da subito. E lo stesso vale per le altre proposte.
Dopo 60 anni l’Università del Salento deve saper fare un bilancio e capire dove gli investimenti sono stati produttivi e dove le scelte non sono state felici. Ora ci sono le valutazioni, non possiamo non tenerne conto. Forse il CURC ha bocciato le proposte per bloccare la concorrenza, o forse le proposte davvero non erano adeguate. Occorre effettuare una severa analisi e capire, eventualmente per modificare la rotta (facendo proposte adeguate e valorizzando quel che di buono abbiamo), oppure per combattere per far valere il nostro valore.In molte occasioni ho detto che i punti di forza del Salento sono l’enogastronomia e l’agroalimentare, i beni culturali, e i beni ambientali. Per ambiente e beni culturali abbiamo corsi di laurea di buon livello. Ma il territorio non è molto ricettivo nei confronti dei laureati in queste discipline. E forse non lo sarebbe neppure per gli esperti in agroalimentare. Inspiegabilmente il capitale umano qualificato non trova impiego e valorizzazione. I nostri laureati vanno via. E altrove trovano occasioni di lavoro. C’è uno scollamento tra vocazione del territorio e realizzazione dei nostri potenziali. Va benissimo l’industria, ma la strada industriale è stata seguita per lo sviluppo di Brindisi e di Taranto, con i risultati che ben conosciamo. Dobbiamo valorizzare le nostre unicità. E qui è la politica a dover fare la sua parte, incentivando percorsi virtuosi, anche facendo buon uso dei fondi europei. Perché non sono i fondi che mancano, manca la capacità di saperli utilizzare adeguatamente. Se questa capacità ci fosse, non avremmo alcun problema. E invece…
[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di mercoledì 30 dicembre 2015]