di Antonio Errico
Sempre più frequentemente la scienza riesce a raggiungere regioni del cielo che si trovano a distanze perfino inimmaginabili. Sobborghi dell’immenso. Periferie dell’infinito. Forse uno degli ultimi esempi è costituito dalla sonda New Horizons che il primo di gennaio avvicinerà “2014MU69”, un corpo celeste che appartiene alla fascia di Kuiper, scoperto appena ieri, nel 2014.
Si trova a sei miliardi e mezzo di chilometri dal Sole. La chiamano l’Ultima Thule. Una delle responsabili della missione si chiama Silvia Protopapa, ha 37 anni, si è laureata in fisica a Lecce, è specializzata nello studio dei pianeti più lontani del sistema solare.
Sempre più frequentemente ci si ritrova a riformulare le nostre cognizioni e le nostre percezioni del lontano e del vicino, del raggiungibile e dell’irraggiungibile, del pensabile e dell’impensabile. Molte di quelle cose che per millenni sono state la rappresentazione della irrimediabile lontananza, la metafora dell’impossibilità umana, adesso sono diventate prossime, possibili, anche probabili. Il cielo si è fatto vicino: possiamo pensarlo come un luogo distante ma raggiungibile. Forse il mutamento di pensiero si è verificato in modo definitivo la notte del 21 luglio del 1969, quando un uomo che si chiamava Neil Armstrong mise per la prima volta il piede sulla Luna. Fino a quella notte, la Luna era stata raggiunta soltanto nei poemi e nella fiabe. Però, si sa che, a volte, le fiabe e i poemi sono l’esito di una visionarietà, e che la visionarietà in qualche caso costituisce una previsione della realtà.
Forse è accaduta in quella notte la frattura dell’associazione semantica fra le parole cielo e irraggiungibile. Non a livello di scienza, certamente, ma a livello di pensiero comune.
La lontananza del cielo non è più irrimediabile, e il cielo è sempre meno misterioso e irraggiungibile.
Siamo finanche arrivati a dire, a dirci, di possibilità di trascorrere una vacanza nello spazio.
Forse è una banalità. Allora occorre fare una distinzione fra il pensiero e l’agire della scienza e il pensiero e l’agire della banalità. Perché la banalità del pensiero non produce altro effetto che quello dell’annientamento della meraviglia, dello stupore, dell’attrazione nei confronti di quello che è sconosciuto. Forse, da qualche tempo, stiamo facendo questo. Forse da qualche tempo stiamo anche attribuendo un valore molto modesto alla scienza, proprio per il fatto che le sue conquiste vengono ridotte ad un pensiero vacanziero.
Invece la scienza è sacrificio finalizzato all’evoluzione dell’umano. Ogni volta che la si contagia con l’influenza della banalità, si offende l’evoluzione dell’umano.
Adesso che il lontano si è fatto meno lontano, adesso che si pensa di poter arrivare fin dove non si è mai pensato di poter arrivare, adesso che abbiamo l’impressione, o l’illusione, che il velo di mistero che copre l’universo sia diventato più sottile, più trasparente, dovremmo utilizzare gli esiti della scienza per ripensare il senso del nostro essere nello spazio e nel tempo, il senso delle cose del principio e della fine.
Se il cielo si è fatto più vicino, non vuol dire che il cielo ci appartiene. Probabilmente costituisce, invece, una dimostrazione ulteriore che noi apparteniamo al cielo, che il cielo addirittura ci possiede.
Dovremmo approfittarne per rivolgere ad esso domande sui suoi segreti più profondi: quei segreti che indubbiamente ci riguardano e ci coinvolgono.
In un saggio che si intitola “Trattato della lontananza”, Antonio Prete scrive che interrogare il cielo è interrogare il tempo, i suoi confini. Ma quando si interroga il tempo, attraverso l’interrogazione del cielo, non si fa altro che interrogare il nostro passato, il nostro presente, il nostro futuro, e cioè tutto quello con cui costantemente e inevitabilmente ci confrontiamo in termini di memoria, di esperienza, di immaginazione.
Non saprei dire se gli esiti straordinari della scienza noi li stiamo finalizzando a questa interrogazione, se stiamo approfittando delle opportunità per una conoscenza più profonda, per una comprensione ulteriore.
Non si esclude che in qualche caso sia così, che esistano circoscritti contesti di pensiero in cui si sviluppi una riflessione. Però si può dire che non sia così nel comune pensare, nella diffusa opinione. Sembra, piuttosto, che si pensi ad incanalare le scoperte della scienza nei torrenti sempre più gonfi della superfluità.
Ho letto tempo fa, da qualche parte, che tra non molto, tra proprio poco, si potrà andare in vacanza su Marte. A parte il fatto che la gita richiederà di starsene seduti per più di cinquecento giorni, senza nemmeno la possibilità di stendere le gambe sotto il sedile di fronte, viene da chiedersi che cosa si fa una volta arrivati a destinazione, se non c’è mare in cui nuotare e non c’è neve su cui sciare, se non c’è un sentiero per le passeggiate. Forse è, ancora una volta, la dimostrazione che il pensiero che più ci seduce è quello del superfluo. Forse è normale, al tempo del superfluo. Ma dovremmo cominciare a ragionare in che misura il pensiero superfluo renda superflua anche la nostra esistenza e rischi di banalizzare le scoperte della scienza.
Se dovessimo dirci che abbiamo ridotto la distanza che c’è fra la terra e il cielo soprattutto per poter andare in vacanza nel cielo, sarebbe davvero assai misero e triste.
Ma l’uomo ha ridotto la lontananza fra il cielo e le stelle, semplicemente perché probabilmente questo è il sogno suo più antico. La scienza gli sta concedendo il privilegio di realizzarlo. E’ una condizione di una implicazione razionale e sentimentale così forte che non si può trasformare in una condizione di mediocrità.
Esistevano una volta i mappamondi. Il bambino guardava il mappamondo, lo faceva girare sui palmi delle mani, immaginava, fantasticava, sognava. L’universo era a misura del suo sogno profondo, dice Baudelaire ne “ Le Voyage”.
Quando quel bambino si è fatto poeta, è stato perché non voleva rinunciare ad un universo che fosse a misura del suo sogno.
Quando si è fatto scienziato, di qualsiasi scienza, è stato per lo stesso motivo.
[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 23 dicembre 2018]